Futuro

Le frontiere della consapevolezza

L’utilizzo medico dell’editing genetico è sempre più vicino. Servirà a curare le malattie ma anche a migliorare il corpo umano. E a controllare la mente. La società deve discutere le conseguenze di tutto questo, ora
Credit: Thierry Bouet
Tempo di lettura 4 min lettura
9 marzo 2023 Aggiornato alle 06:30

Alla terza edizione dell’International Summit on Human Genome Editing, a Londra, gli scienziati che si occupano di modificare i geni per curare malattie o per migliorare il corpo umano hanno discusso di tecnologia ed etica.

Jennifer Doudna, scienziata a Berkeley che ha contribuito alla scoperta del Crispr/Cas9 e alla sua trasformazione in una tecnologia per tagliare il Dna e per sostituirne delle parti, osserva che l’editing genetico è ancora impreciso, gli effetti collaterali non sono del tutto studiati, le conseguenze etiche non sono ancora dibattute a sufficienza.

«I nostri tempi sono davvero entusiasmanti per questa tecnica. Ma dobbiamo ancora vincere importanti sfide» dice Doudna.

Ma nell’industria e nella scienza molti continuano a pensare che sia soltanto questione di tempo, di soldi e di mercato.

L’ipotesi è che prima o poi si tratteranno cardiopatie e cancro con manovre sul Dna. E prima o poi si userà questa tecnica per migliorare le prestazioni del corpo umano.

Certo, a nessuno è sfuggita l’esperienza di He Jiankui, lo scienziato che ha modificato il Dna di due gemelline prima che fossero nate per preservarle contro la possibilità di contrarre l’Aids: il suo intervento è stato giudicato illegale in Cina e gli ha procurato tre anni di prigione. Ma oggi, quattro anni dopo, He Jiankui ha messo su un altro laboratorio a Pechino e si occupa di distrofia muscolare.

La domanda che molti si pongono alla conferenza di Londra è: ma chi deve stabilire che cosa si può fare con la scienza? Chi deve dirlo: la politica, la religione, l’economia o la scienza stessa?

Secondo Hank Greely, esperto di bioetica che per lungo tempo ha insegnato a Stanford, è una questione da decidere a livello di società. Ma che cos’è la società se non l’insieme di tutti i ruoli dei quali si è detto? Il problema è il metodo con il quale si decide: sarà il mercato o sarà una deliberazione civica, con considerazioni che vanno oltre l’immediata convenienza economica?

Ci sono dei precedenti per comprendere come fare: le procedure che servono ad approvare i farmaci sono un esempio importante per molte altre tecnologie. Ci sono anche esempi di difficoltà importanti: la società fatica a sottoporre l’intelligenza artificiale a un processo di sviluppo controllato analogo, con i dovuti cambiamenti, a quello che si è pensato per la farmaceutica.

Una strategia adatta al business come alla parte della comunità scientifica meno preoccupata per le conseguenze sociali delle sue scoperte è quella di rimandare il dibattito, di sottovalutarne l’importanza, di sostenere che le conseguenze si affronteranno quando si presenteranno, e frenare tutto prima di conoscerle sarebbe solo un modo per bloccare l’innovazione.

Ma allora vale la pena di dare un’occhiata alla prossima grande frontiera del dibattito. La tecnologia per registrare i movimenti elettrici nel cervello è ormai matura. Le interfacce cerebrali per comandare gli strumenti elettronici cominciano a funzionare. E interessano le grandi società della pubblicità, per esempio: Meta, cioè Facebook, ha comprato Ctrl-Labs, una startup che fa un braccialetto che consente di governare un computer muovendo le dita; Alphabet, cioè Google, sta sviluppando degli auricolari che possono rilevare dati sugli scambi di segnali elettrici direttamente dal cervello.

Le grandi compagnie che raccolgono dati sulle persone potranno presto correlare quei dati ai movimenti del cervello e ottenere conoscenze sui segnali neurologici che sono connessi alle scelte della vita quotidiana o alle interazioni con le pagine web.

Tutto questo fa venire in mente una copertina dell’Economist di vent’anni fa, intitolata “The future of mind control”. È chiaro che la strada del controllo totale della mente è ancora lontana. Ma l’incrocio di dati che certi giganti del digitale possono effettuare tra comportamenti e cervelli delle persone comincia a dare l’idea che qualcosa in questa direzione si stia davvero muovendo.

La società è preparata a tutto questo? L’Europa lo è più di altri Paesi. Ma il dibattito sulla società che gli europei vogliono costruire, che è molto avanzato per quanto riguarda il digitale, deve allargarsi presto ad alcune conseguenze scientifiche del digitale, come la genetica e la neuroscienza. Non per bloccarle. Ma per guidarle e liberarne le potenzialità positive per gli umani. Non attraverso la paura, ma la consapevolezza.

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