Culture

Guida all’ecofemminismo

Il movimento che unisce la lotta per i diritti delle donne e dell’ambiente ha una lunga storia. Che potrebbe ispirare anche le guerriere green di oggi, da Greta a Elly Schlein. Come spiega a La Svolta Silvana Galassi
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8 marzo 2023 Aggiornato alle 14:00

Silvana Galassi è una donna di scienza e di ricerca, una docente universitaria, una divulgatrice, una paladina dell’ambiente e, non per ultimo, una piacevole conversatrice. Ha all’attivo circa 100 pubblicazioni accademiche e una decina di libri che ruotano intorno al campo di indagine che l’appassiona da sempre: l’ecologia.

Studentessa Stem antesignana, dopo il diploma da perito chimico («una scelta in effetti originale, ma avevo bisogno di andare a lavorare presto e la chimica era un settore molto in crescita») si iscrive alla Facoltà di Scienze Biologiche di Milano «grazie al ‘68, che costringe le università ad attivare i corsi serali. Ero già impiegata in fabbrica e solo così sono riuscita a laurearmi». La laurea le consente di diventare ricercatrice nel Consiglio Nazionale delle Ricerche, per poi iniziare una lunga carriera universitaria. Insomma, un’esemplare storia di empowerment.

Non stupisce, quindi, che il suo ultimo saggio Dalla parte di Gaia (Edizioni Ambiente) sia un viaggio, un omaggio, una doverosa ricostruzione storica di un movimento chiamato “ecofemminismo” presente già nel Settecento ma che trova una definizione solo nel 1974 in Francia con l’attivista Francoise D’Eaubonne.

Il libro raccoglie la storia di studiose impegnate in campo ambientale ed ecologiste che hanno unito la lotta per l’emancipazione delle donne con quella per la tutela dell’ecosistema.

«L’idea di base dell’ecofemminismo è che nelle società occidentali dove vige il modello capitalista-patriarcale, la natura e la donna sono in una condizione che le avvicina perché sono sfruttate entrambe» spiega Galassi.

Il “danno” avviene già durante l’Illuminismo che attinge dalla religione giudaico-cristiana la concezione della Natura assoggettata all’uomo, e sposta il ruolo centrale ricoperto dalla dea madre nei culti politeisti a quello marginale di costola di Adamo.

Il nesso tra tutela dei diritti femminili e delle risorse della Terra è ancora più evidente, oggi, nelle zone del mondo povere dove il degrado della natura continua ad aumentare le disuguaglianze sociali: «Questo l’ha detto Papa Francesco nella enciclica Laudato si’, che secondo me è un bel documento ecologico» spiega l’autrice.

«Di certo, dove c’è un attacco alla natura diminuiscono anche le risorse e chi paga di più è sempre il soggetto più fragile. Penso per esempio all’Africa, dove lavoro per un’associazione umanitaria: i cambiamenti climatici stanno colpendo le zone rurali in cui le donne trovano sempre meno acqua o legna per il fuoco e devono percorrere km prima di riuscire a tornare indietro a sfamare la famiglia. È logico che siano loro le più vicine ai problemi della natura, perché dalla natura dipendono».

Un legame che, spiega Galassi, è sempre stato di stretta interdipendenza anche se ad alcune ecofemministe non piace ribadirlo: «Temono che le donne possano essere promosse da angeli del focolare ad angeli dell’ecosistema, ma per me non è così. Come diceva la famosa biologa americana Rachel Carson, e molti filosofi prima di lei, abbiamo tutti una istintiva empatia per la natura alla nascita, ma nella maggior parte delle società ai maschi viene represso questo “feeling” perché considerato femminile. E quindi per una donna è più facile conservare, anche da adulta, una maggior sensibilità per l’ambiente».

Nonostante l’ecofemminismo conti tra le sue esponenti tantissime pensatrici e attiviste in tutto il mondo, è ancora un movimento che fatica a trovare un linguaggio unico, una sua unità. «Io ho cercato di studiarlo e di riassumerlo, ma ho voluto dare spazio anche a quelle figure che considero ecofemministe nella pratica. Ho raccontato eroine che hanno difeso singolarmente l’ambiente come Diane Fossey, la studiosa dei gorilla, o come la documentarista Joan Root, uccisa in Kenya per le sue battaglie per la difesa del lago Naiwasha. Ma anche donne che si sono messe alla testa di movimenti come Bertha Caceres in Honduras, il premio Nobel Wangari Maathai, fondatrice del Green Belt Movement, e Rigoberta Menchù che ha rappresentato i popoli indio in Guatemala e in America Latina. Oppure attiviste che si sono sentite attratte dalle lotte ambientaliste riallacciandosi a movimenti culturali antichi, come la fisica Vandana Shiva che si è ispirata alle donne chipko. In Italia, di certo Laura Conti, scrittrice, medico, politica, è stata la figura più completa».

Greta Thunberg può rientrare in questa galleria di ecoguerriere? «È l’esempio più contemporaneo, viene dalla Svezia dove c’è una tradizione ecologista profonda, non mi stupisce che una giovane donna scandinava percepisca così precocemente questi problemi. D’altronde anche in Italia prevale la componente femminile nei corsi di laurea di scienze ambientali e naturali. In piazza scendono molte studentesse preparate, non solo sensibili al tema. Penso che anche l’elezione di Elly Schlein sia un segno dei tempi che cambiano: chi avrebbe mai immaginato fino a ieri che si potesse fare largo una candidata che porta avanti sia le istanze del femminismo sia quelle dell’ambientalismo?».

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