Futuro

Disinformazione: chi cancella le notizie “scomode” dal web?

L’azienda Eliminalia influenza l’algoritmo che sceglie la posizione dei contenuti su Google, per nascondere i link che non piacciono ai clienti. L’indagine #StoryKillers cerca di fare chiarezza
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27 febbraio 2023 Aggiornato alle 12:00

L’indagine #StoryKillers parte dall’assassinio della giornalista Gauri Lankesh, avvenuto nel 2017 prima della pubblicazione del suo articolo In the Age of Fake News, che denunciava le “fabbriche di bugie” nell’India centrale. A partire dallo scorso anno, più di 100 giornalisti di 30 media in tutto il mondo, coordinati dall’organizzazione Forbidden Stories, hanno continuato il lavoro di indagine sulla disinformazione globale.

La missione è continuare a dar voce ai giornalisti minacciati, imprigionati o assassinati e a portare avanti il lavoro sul “disvelamento delle tenebre”. Per la prima volta, un consorzio internazionale di reporter investigativi indaga sul business oscuro dei mercenari della disinformazione che operano nel mondo, dall’Arabia Saudita agli Stati Uniti.

Il problema principale di questa minaccia globale è che spesso è invisibile ma, come dimostra il rapporto dell’Oxford Internet Institute, nel 2021 oltre 81 Paesi hanno fatto ricorso a campagne organizzate di manipolazione sui social media.

I media partner di Story Killers sono The Guardian, Observer, Le Monde, The Washington Post, Der Spiegel, ZDF, Paper Trail Media, Die Zeit, Radio France, Proceso, OCCRP, Knack, Le Soir, Haaretz, The Marker, El País, SverigesTelevision, Radio tèlévision Suisse, Folha, Confluence Media, IRPI, IStories, Armando Info, Code for Africa, Bird, Tempo Media.

Cerchiamo di ripercorrere le tappe del progetto con ordine.

Diritto all’oblio

La storia inizia con una email del 2 febbraio 2021 ricevuta da Lorenzo Bagnoli, giornalista di IrpiMedia (testata indipendente e no profit di giornalismo investigativo transnazionale), in cui viene chiesto di rimuovere un articolo (a cui si fa riferimento nel testo della mail) e di deindicizzarlo, oppure di sostituire le generalità del protagonista con le sole iniziali di nome e cognome, partendo dall’idea che quella sia una notizia vecchia e inattuale. Il mittente dell’email fa riferimento al General data protection Regulation (Gdpr), un regolamento europeo che disciplina il trattamento e la circolazione dei dati personali di cittadini e organizzazioni.

Per quanto sia complesso metterlo in atto, il regolamento Gdpr è oggi la più avanzata legge in materia di tutela della privacy esistente. Ma quando un dato è necessario per l’esercizio della libertà di espressione e di informazione, bisogna decidere caso per caso quale diritto debba prevalere.

In Italia e in Europa la tendenza è quella di applicare il diritto all’oblio, come indicato anche dall’ex Ministra della giustizia Marta Cartabia, che ha introdotto la norma che, a partire dal 2023, permette a chi è stato assolto o archiviato di chiedere la deindicizzazione dei propri dati personali.

L’email in questione era firmata da Raúl Soto e utilizzava dei domini riconducibili in modo fraudolento (ma questo si è scoperto solo dopo) alla Comunità Europea. Dopo alcune indagini, Lorenzo Bagnoli, con la consulenza legale dell’Ordine dei giornalisti di Milano, ha deciso di ignorare la richiesta.

Web Reputation

Il vaso di Pandora è stato quindi aperto: certamente un giornalista deve analizzare le richieste pervenute anche da possibili email “spam”: contestare gli articoli è un diritto e correggerli in caso di errore è un dovere per chi scrive. A volte, però, si tratta davvero di ripulire la vicenda, facendola addirittura sparire.

Nel mondo esistono diverse aziende di web reputation che si occupano di curare l’immagine pubblica di aziende o di volti noti, cercando di cancellare possibili errori del passato: l’importante è che non vengano adottate tecniche fraudolente per arrivare all’obiettivo, come del caso dell’avatar Raúl Soto.

Soto lavorava infatti per un’azienda che specializzata nella manipolazione dell’indicizzazione dei siti web. Per scoprirlo, è servito un database di 50.000 documenti che Forbidden Stories, grazie all’inchiesta Story Killers, ha portato alla luce. L’indagine, infatti, nasce proprio per comprendere queste tecniche illegali di “pulizia” della web reputation, che sfociano in disinformazione.

Eliminalia

Tord Lundström, direttore tecnico dell’organizzazione no profit svedese Qurium, che si occupa di proteggere i media indipendenti nel campo dei diritti umani, ha scoperto che le email di Raúl Soto e di altri alias partivano sempre dall’Ucraina, da un’organizzazione che si chiama Eliminalia, fondata nel 2013.

La sede principale è in Spagna ma ci sono uffici ovunque nel mondo e in un volantino del 2018 dichiaravano di aver rimosso oltre 10.000 link. La missione di Eliminalia è appunto quella di far sparire ciò che non è gradito ai propri clienti.

Quando fai una ricerca, Google presenta in alto i risultati capaci di ottenere più click. Il 92,81% degli utenti desktop del motore di ricerca clicca solo i link che si trovano nella prima pagina, come dimostrato dal rilevamento di SqueezeMind. Eliminalia, quindi, deve fare in modo di cancellare il link fastidioso dalla prima pagina di Google, andando a influenzare l’algoritmo che stabilisce la classifica dei risultati del motore di ricerca. Per farlo si inizia inviando email intimidatorie, come quella di Raúl Soto, da indirizzi come egal-abuse.eu@pec.it o italy@abuse-report.eu.

Si passa poi all’attacco chiedendo direttamente a Google di rimuovere il link. Nel caso di Eliminalia, falsi impiegati di gruppi editoriali in Italia hanno depositato centinaia di richieste per rimuovere articoli in italiano.

Si crea un articolo retrodatato chiedendo la rimozione della notizia originale fastidiosa. Se Google ci casca, l’obiettivo di Eliminalia è raggiunto. Rimettere un contenuto online è un procedimento piuttosto complesso: a ogni modo, si finirebbe poi a essere inseriti nelle seconde o terze pagine di Google. Eliminalia vincerebbe comunque.

Nel 2022 sono state depositate 1,4 milioni di richieste per 5,3 milioni di link. Le domande sono tante; le rimozioni, per fortuna, meno.

Fake news e Backlinking

Ma quando la email intimidatorie e la richiesta a Google non bastano, si passa alla diffusione delle fake news. L’indagine ha mostrato che Eliminalia ha prodotto oltre 3.000 articoli falsi, raccolti su 600 siti web, collegati ai nomi di circa 48 clienti.

Una volta prodotto l’articolo bisogna farlo apparire in cima ai risultati di ricerca e renderlo più cliccabile di altri. Per ottenere questo risultato, si condividono i link su forum e blog.

Per decidere la posizione di un link tra i risultati di una ricerca, Google prende in considerazione il numero di volte che quel link è stato incluso in altri siti web: questa tecnica si chiama backlink. Per manipolare i risultati, e quindi l’informazione finale degli utenti (che si fermano ai primi risultati di una ricerca) basta creare backlink verso siti web fasulli.

Ma quanto costa questa operazione? Dall’indagine di #StoryKillers emerge che per rimuovere un singolo link si paga tra i 200 e 2.000 euro. Tra i clienti di Eliminalia ci sono anche italiani.

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