Economia

È sempre colpa delle donne?

Il Pnrr va a rilento. Continuano gli slittamenti rispetto al cronoprogramma. Ma abbiamo trovato a chi attribuirne le responsabilità
Credit: EPA/Robert Perry
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
21 febbraio 2023 Aggiornato alle 06:30

E così, abbiamo finalmente trovato un responsabile: pare che a rallentare l’attuazione dei piani previsti dal Pnrr non siano le lentezze amministrative o il livello di corruzione del Paese (che nell’Economic Freedom Index 2022 rimangono due dei principali ostacoli alla crescita dello Stivale), quanto piuttosto la parità di genere.

Qual è il tema qui? Che l’articolo 47 del decreto legge 77 del 2021 prevede che, nell’esecuzione dei contratti relativi ai bandi del Pnrr, venga garantita una quota del 30% riservata rispettivamente a donne e giovani.

E le donne stanno diventando, ancora una volta, il capro espiatorio dell’Italia.

Per una volta in cui eravamo virtuosi…

Per una volta, eravamo stati quelli bravi. A livello europeo, il Pnrr è stato considerato il piano di utilizzo dei fondi di Next Generation EU più focalizzato sulla parità di genere, insieme a quello presentato dalla Spagna.

E per fortuna, perché la nostra base di partenza è, com’è noto, particolarmente complicata.

In Italia, il tasso di occupazione femminile non raggiunge neppure il 53%, abbassando la media Ue (superiore al 67%).

Il 38% delle donne modifica la struttura del proprio lavoro per far fronte alle esigenze della famiglia (gli uomini? Si fermano al 12%).

Una donna su tre abbandona il posto di lavoro dopo aver avuto il primo figlio e la quota cresce all’aumentare del numero dei figli. Questo, nonostante le donne italiane siano mediamente più istruite rispetto agli uomini, dal momento che rappresentano il 59% delle persone laureate.

Come se non bastasse, il tempo dedicato alla cura non retribuita vede l’Italia in coda tra i Paesi membri dell’Unione europea: vi si dedica quotidianamente l’81% di donne contro il 20% degli uomini. La media europea è del 79% delle donne a fronte del 34% degli uomini, con casi particolarmente virtuosi, come quello svedese, dove le quote sono, rispettivamente, del 74% e del 56%.

Da noi ha preso ispirazione l’Unione europea per l’introduzione delle quote di genere, nel nostro Paese istituite con la Legge Golfo-Mosca.

Grazie a questa legge, la quota di donne negli organi sociali delle società quotate è prossima al 40%. Prima dell’applicazione della legge, era circa 4 volte minore (nel 2012, era all’11,6%).

Secondo il Rapporto Consob sulla Corporate Governance, le donne rappresentano ora un terzo delle cariche nelle società pubbliche. Nel 2014, questa quota si fermava al 17,5%.

E allora, non impegniamoci mai

Qual è il problema? Che a esempio, la forza lavoro femminile nei cantieri rappresenta solo lo 0,3%, del totale. E alcune aziende lamentano la difficoltà nel reperire una quantità sufficiente di donne da impiegare in settori sensibili come questo.

E però… Si parla solo delle donne, ma la verità è che la clausola di condizionalità istituisce il vincolo, per le aziende che si aggiudicano i bandi, di destinare almeno il 30% dell’occupazione aggiuntiva creata ai giovani under 36 e alle donne (senza limiti di età). Non solo donne, quindi, ma anche persone giovani.

Senza contare che la stessa norma prevede la possibilità per le stazioni appaltanti di escludere del tutto questa quota o anche solo di ridurla, nel caso in cui venga considerata un obiettivo irraggiungibile.

A questo punto, viene da porsi qualche domanda. Il Pnrr è stato pensato come uno strumento di trasformazione strutturale del nostro Paese, volto al superamento dei tradizionali ostacoli alla crescita.

Ma se non vogliamo cambiare nulla, allora, che senso ha?

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