Città

Roma e incidenti stradali: Gualtieri, dichiari l’emergenza!

Le misure messe in atto dal Comune non bastano: bisogna trasformare la Capitale in una città a 30 all’ora. Per non avere più paura quando torniamo a casa
Andy Warhol, Orange Car Crash Fourteen Times 1963
Andy Warhol, Orange Car Crash Fourteen Times 1963 Credit: 2023 Andy Warhol Foundation for the Visual Arts / Artists Rights Society (ARS), New York

La cosa migliore per spiegare un fenomeno è raccontare la paura. Quella delle madri, in questo caso di quelle che vivono a Roma. C’è in noi un’ansia costante, cronica e che si rinnova ogni giorno. Il terrore che i nostri figli possano essere vittime di incidenti. Travolti mentre attraversano sulle strisce, uccisi persino sul marciapiede da macchine troppo grandi e senza controllo.

Per questo li accompagniamo, attraversiamo gli incroci con loro, li leghiamo con le cinture davanti e dietro, ricordiamo a tutti quelli che per caso li prendono in macchina di farlo, non li facciamo andare a scuola in bici perché è troppo pericoloso, camminando sul marciapiede li mettiamo sempre a lato del muro, scrutiamo gli incroci con attenzione anche se è verde per noi, infine aguzziamo i sensi per sentire che sono in arrivo ambulanze e macchine della polizia, che spesso attraverso gli incroci col rosso a una velocità impazzita.

È uno scenario quasi bellico, profondamente traumatizzante e di fronte al quale poco o nulla possiamo fare.

Come in una guerra

La situazione è peggiore per chi segue la cronaca di Roma con un po’ di attenzione. Quasi ogni giorno infatti a Roma c’è una vittima. L’ultima, o forse la penultima, un’imprenditrice di 48 anni, con un figlio, tornava a casa, uccisa su una strada del Lungotevere Flaminio a Roma.

È facile immedesimarsi, se si ha più o meno la stessa età, se si hanno figli. A lei come a me. Ma ci sono ragazzini di 15, 17 anni, anziani, madri, padri, studenti. Pedoni, scooteristi, ciclisti. Volti che appaiono sui pezzi di cronaca per sparire rapidamente ma che rimangono dentro. Perché l’immaginazione vola al momento della telefonata che comunica il decesso, alla disperazione che inizia e che non finirà mai più, a un bambino a cui si dice che sua madre è morta, a una madre o un padre a cui si dice che suo figlio è morto, a tutto ciò che ne segue.

La cosa peggiore, credo, è continuare ad abitare la stessa città senza più la persona che era il fulcro della tua vita, dover attraversare magari tutti i giorni il punto dove tuo figlio ha perso la vita. Immagino questi genitori fare lunghi percorsi per evitare quei punti. Pieni di fiori e foto, lasciati dagli amici, Roma ne è piena, agli incroci.

Farsi carico del dolore, quello che le istituzioni non fanno

Di fronte a questo scenario di lutto e morte, che ormai è entrato a far parte di noi come, appunto, un trauma costante, le istituzioni reagiscono con una debolezza e lentezza sconcertanti. Debolezza che non è solo concreta. Il sindaco e i suoi assessori sembrano non riuscire a percepire realmente l’assoluta emergenza in cui viviamo immersi, la tragedia collettiva di Roma e dei suoi abitanti.

Prima ancora di mettere in atto misure, bisognerebbe farsi carico di questi lutti e questo dolore e restituire alla cittadinanza, oltre che ai parenti delle vittime, l’immagine di istituzioni che hanno capito, che hanno sentito, che sono anch’esse sconvolte dalla scia continua di famiglie distrutte.

Proprio in questi giorni, il Campidoglio sta lanciando - anche come conseguenza della morte di Francesco Valdiserri, evento che ha spinto il sindaco ad agire (ma non si sarebbe dovuto fare prima?) - la comunicazione Roma strada sicura, con oltre 1.000 manifesti, ma anche pannelli e maxi impianti a led, sparsi su tutto il territorio, con inviti a non bere, non chattare, a non correre, uniti a una campagna social.

Si realizzeranno campagne educative nelle scuole, si raddoppieranno gli autovelox ed entro il prossimo anno verranno realizzati 710 attraversamenti pedonali luminosi, mentre sono iniziati i lavori nel primo dei 70 incroci più pericolosi di Roma. Infine, con le risorse del Giubileo è in programma un piano di manutenzione straordinario delle strade, soprattutto le arterie primarie. Tutto queste misure vanno benissimo e il merito va sicuramente all’assessore ai Trasporti Eugenio Patanè.

Misure giuste, ma inadeguate: serve dichiarare l’emergenza

Ma il punto, purtroppo, è che non bastano. Non bastano perché il Comune di Roma è vastissimo. La quantità di arterie secondarie è immensa, gli attraversamenti sono migliaia, le strade sono per lo più in condizioni drammatiche, specie quando ci si allontana dal centro, l’illuminazione è carente, i controlli scarsissimi.

E poi c’è un secondo problema: i tempi. Perché le misure sono giuste, ma la realizzazione può durare anni. Ma ogni giorno le persone continuano a morire. Moriranno persone nei prossimi giorni. Moriranno tra una settimana. Quindi ci saranno altre famiglie la cui esistenza si fermerà per sempre.

È possibile, è accettabile? La risposta è negativa. Che cosa si potrebbe fare? Il primo atto fondamentale sarebbe dichiarare immediatamente l’emergenza perché se questa non è una situazione emergenziale quale lo è? Il secondo, agire subito e tempestivamente con una decisione straordinaria sulla principale causa delle morti: la velocità.

Uccide lo smartphone, uccide l’ubriachezza, l’assunzione di sostanza, ma più di tutte la velocità. Dove per velocità si intende anche 50 chilometri in strade non a scorrimento veloce, dove le persone arrivano anche a 70, 80. Gli studi l’hanno ampiamente dimostrato: abbassare la velocità a 30 chilometri riduce in maniera straordinaria le morti.

E allora Gualtieri dovrebbe avere il coraggio di farlo, subito, e di farlo per l’intera città, non solo progressivamente, forse, a zone, quando saranno realizzate le isole ambientali. Oggi, subito. Ci sarebbero proteste, perché la misura è impopolare, ma se un sindaco percepisse la tragedia costante dei morti per gli incidenti non dovrebbe avere dubbi. Abbassare il limite di velocità avrebbe anche un effetto positivo sui mezzi pubblici: perché se comunque occorre andare piano, potrebbe diventare conveniente prendere un autobus. Ma soprattutto, non ci sarebbero morti.

L’urgenza di misure a valle, contro le lobby delle case automobilistiche

Pochi giorni fa, i parenti delle vittime sulla strada a Roma, più alcune associazioni che da sempre si occupano del tema, come Rete Vivinstrada, Associazione Diritti Pedoni, le associazioni che fanno parte della Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta e vari comitati romani hanno critto una lettera a Gualtieri, chiedendo la concretizzazione immediata delle misure di prevenzione stradale.

La prima e più importante di tutte è, appunto, la riduzione della velocità, con la creazione di una Città 30 all’ora con rete integrata di isole ambientali. Oltre a questo, si chiede la manutenzione urgente di tutti gli attraversamenti stradali, proteggendo quelli lunghi più di 7 metri con isole salvagente. Inoltre, si chiede una azione continuativa di contrasto e immediata alla sosta illegale e selvaggia e, infine, una campagna di comunicazione.

Ma il primo punto rimane quello della velocità. Purtroppo, sappiamo bene che il problema sarebbe risolvibile a monte, con limiti a 50 chilometri e una differenziazione tra le auto che circolano in città - che dovrebbero essere piccole, elettriche e lente - e auto per la autostrade. La politica delle case automobilistiche invece va in senso contrario: macchine sempre più grosse e letali, suv anche per la città.

I Governi si sono sempre piegati a questa logica, ignorando le migliaia di vittime che ogni anno ci sono in Italia e che per l’Europa avremmo dovuto dimezzare. Così non è stato, anzi. Ma se a monte il problema non lo si vuole risolvere, allora che si facciano misure emergenziali a valle, specie nella città dove si muore di più, cioè Roma.

Se questa è una guerra, e lo è, giustifica scelte straordinarie. Le istituzioni lo devono a chi non c’è più, ai loro parenti e infine a tutti noi, che affrontiamo ogni giornata con ansia e ogni sera, tornando a casa, ci sentiamo, letteralmente, degli scampati.

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