Bambini

Com’è vivere nelle carceri minorili?

I detenuti possono svolgere diverse attività educative - come laboratori - ma secondo l’associazione Antigone, le strutture non sono adeguate ad accogliere i ragazzi provenienti da contesti di degrado
Credit: cottonbro studio
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16 febbraio 2023 Aggiornato alle 11:00

In Italia i detenuti nelle carceri minorili stanno diminuendo: da gennaio 2020 a gennaio 2022, secondo l’associazione Antigone, il numero si è ridotto del 19%, ma è in calo costante già dal 2016. Tra i progetti di rieducazione e il degrado delle strutture detentive, alcuni osservatori si interrogano sulla necessità di tenere ancora aperti questi luoghi.

Negli Istituti penali minorili (Ipm) ci sono giovani tra i 14 e i 25 anni: queste strutture sono nate negli anni ‘90, insieme agli uffici e alle comunità che compongono i servizi di Giustizia Minorile legati al territorio. Dal 1934 fino al 1988, i Centri di rieducazione dei minorenni prevedevano svariate forme di detenzione, tra cui le case di rieducazione, i pensionati giovanili per la semi-libertà, gabinetti medico-psico-pedagogici, prigioni scuola e riformatori giudiziari.

L’ultima riforma, a seguito di una forte diminuzione di detenuti registrata nel 2007, risale al 2014, quando il limite di età per la permanenza negli Ipm è salito da 21 a 25 anni. Nonostante l’aumento della platea di destinatari, già dal 2016 il numero di detenuti ha iniziato a calare, segnando un picco significativo a partire dal 2018.

Oggi, dei 17 Istituti penali minorili presenti nella Penisola, 10 sono concentrati nel Mezzogiorno e quasi la metà si trova in Sicilia. Dei 353 detenuti - secondo i dati relativi a marzo 2022 - la maggior parte è maggiorenne e solo 13 sono femmine. 161 sono stranieri e commettono reati meno gravi dei loro coetanei italiani. L’istituto che ospita più detenuti è quello di Nisida, in provincia di Napoli, con 41 detenuti, in calo rispetto ai 66 del 2017.

Gli Ipm italiani condividono servizi simili, garantendo ai detenuti e alle famiglie tra i 6 e gli 8 colloqui al mese, spesso della durata massima di 1 ora, secondo un calendario prestabilito. Ogni detenuto può inoltre ricevere un numero massimo di pacchi mensile, con un peso limite di 20 kg, così come piccole somme in denaro per provvedere a eventuali spese dal carcere, dove gli scambi di oggetti di qualsiasi genere sono vietati.

La vita all’interno del carcere prevede attività di rieducazione e di formazione gestite attraverso mediatori culturali, volontari, insegnanti, istruttori e animatori. A sviluppare un rapporto diretto con i carcerati, insieme agli psicologi, ci sono gli educatori penitenziari, istituiti nel 1975, anno in cui i detenuti cessarono di essere considerati “malati” da curare e diventarono in termini di legge persone da comprendere e responsabilizzare.

Una giornata tipo per i giovani detenuti nel carcere Ferrante Aporti di Torino inizia tra le 7 e le 8 del mattino con la colazione negli spazi comuni, prosegue con attività scolastiche e di formazione professionale durante la mattinata, momenti liberi nelle camere e attività ludico-sportive all’aperto nel pomeriggio. Le attività di socializzazione proseguono in serata fino allo spegnimento delle luci e delle televisioni nelle camere a mezzanotte e mezza, un’ora dopo nei week-end.

Oltre alle biblioteche e alle sale cinema, i servizi educativi attivi in carcere sono sviluppati anche in collaborazione con associazioni esterne e offrono ai detenuti laboratori artistici, musicali e culinari, per citarne alcuni. L’associazione Antigone, che si occupa di tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario, ritiene però che gli Ipm non siano le strutture adeguate ad accogliere minori provenienti da situazioni di degrado e difficoltà.

Lo dimostra la recente visita che l’associazione ha condotto all’interno del carcere minorile Beccaria a Milano, a seguito dell’incendio provocato da due giovani detenuti tossicodipendenti in crisi di astinenza. Secondo l’associazione, l’Ipm milanese è un edificio obsoleto che attende interventi di ristrutturazione da oltre 16 anni e, quindi, non adatto a ospitare ragazzi soggetti ad attività di tipo rieducativo e riabilitativo.

Secondo la rivista del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, il problema della difficile gestione degli istituti è soprattutto legato al fatto che nelle carceri minorili più della metà dei reclusi è maggiorenne: “Col crescere dell’età aumenta la loro pericolosità e questo, assieme ad altri fattori, causa il vorticoso aumento dei casi d’aggressione agli operatori, di sommosse e di evasione”.

Il report di Antigone, Ragazzi dentro, offre altri spunti d’analisi. A gennaio 2022, il 52,5% dei reclusi si trovava negli Ipm senza condanna definitiva, ma solo in via cautelare; allo stesso tempo, la maggioranza dei giovani detenuti è in carcere per reati minori. Una condizione che l’associazione Antigone commenta così: “Vista la residualità del ricorso al carcere per i ragazzi in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni, ci si aspetterebbe di trovare in Ipm solo ragazzi detenuti per fatti molto gravi, ma evidentemente non è così, quantomeno se si guarda appunto agli ingressi. Si finisce in Ipm dunque non tanto per la gravità del reato commesso, quanto più realisticamente per la difficoltà di trovare un percorso non detentivo che faccia al caso del ragazzo o della ragazza”.

Alla luce dei dati raccolti e delle esigenze educative dei minori, per l’associazione sarebbe quindi opportuno pensare a un definitivo superamento del ricorso al carcere per i minorenni, potenziando invece i servizi educativi sul territorio.

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