Culture

Perché Sanremo non è la Rai

I vertici della Rai non erano informati della presenza del Presidente della Repubblica nel pubblico dell’Ariston. Intanto, si arrovellano sul trattamento del messaggio di Zelensky. E i sindacati si innervosiscono a 360°. Nel Mar Ligure, la Rai ha subappaltato il timone
Credit: ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Cristina Sivieri Tagliabue
Cristina Sivieri Tagliabue direttrice responsabile
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8 febbraio 2023 Aggiornato alle 11:00

Sanremo specchio del Paese? Mh! Certamente Sanremo è specchio della Rai. E mentre tutti si occupano di commentare e criticare gli outfit manifesto di Chiara Ferragni e l’ultima caduta di stile di Blanco che prende a calci i fiori - simbolo principe della manifestazione canora - c’è una questione che in pochi hanno sottolineato.

Perché è meno gossip, ma un po’ più seria. Però è una questione importante, che racconta come nella tv pubblica il management non “tocchi palla”. Sembra infatti che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sia stato invitato alla kermesse da Amadeus e dal potentissimo agente Lucio Presta (manager, tra gli altri, anche di Gianni Morandi e Roberto Benigni).

Quindi, non si sarebbe passati per le vie istituzionali come sarebbe d’obbligo in questi casi, ma Rai avrebbe delegato a figure esterne un compito così delicato. I primi a lamentarsi sono stati i manager che governano l’azienda, all’oscuro della presenza della prima carica dello Stato. Il Cda Rai (Agnes, Bria, Di Blasio, Di Majo, Laganà) ha inviato in serata una lettera piccatissima ai vertici per non essere stato informato della presenza di Mattarella. E la Presidente Rai Marinella Soldi, candidamente: «È stata organizzata dal Quirinale all’ultimo momento in accordo con la direzione artistica del Festival». Ovvero, anche lei, sarebbe caduta dal cielo dopo la conferenza stampa, apprendendo dalla voce di Amadeus della presenza della prima carica istituzionale del Paese.

Altro che caso Zelensky - anche in quel caso, nessuno aveva informato il Cda della sua presenza - poi passato da intervento video a intervento scritto.

La questione si unisce a un comunicato stampa di 2 giorni fa diffuso dalle segreterie nazionali dei principali sindacati che operano nell’azienda dal titolo: Rai, un’azienda in stato confusionale. Dichiarato lo stato di agitazione. E si legge di seguito, solo l’incipit (per leggere tutto il comunicato in basso):

“Il 2023 della Rai è iniziato nel peggior modo possibile, con la percezione di un’Azienda ormai fuori controllo in ogni settore. Talmente fuori controllo che, neppure la cortina fumogena adottata finora dall’amministratore delegato Fuortes, riesce ormai a nasconderlo.

Un caos organizzativo nei Centri di Produzione TV, gravati da carenze strutturali, con Torino e Napoli abbandonati in balìa degli eventi e Milano e Roma che scontano arretratezze tecnologiche, un ridimensionamento in tutti i ruoli di organico, compreso il mancato reintegro dei Quadri aziendali. Realtà involutiva, che tocca non solo i CPTV ma anche le Sedi Regionali, lasciando pensare a una dismissione strisciante della produzione radio televisiva.

Una confusione tra le lavoratrici e i lavoratori alle prese con un’azienda ingessata, che continua a perdere professionalità perché incapace di valorizzarne i talenti, e dalla quale i giovani più capaci scappano, perché privati di ogni prospettiva. Un’azienda capace solo di incrementare risorse e attività giornalistiche, senza ottimizzarle ma solo per tagli lineari di spesa (vedi cancellazione di edizioni della TGR). Un’azienda senza un vero piano di rilancio dell’informazione di prossimità, che coinvolga le Sedi regionali, realtà produttive strategiche, essenziali per questa RAI, allo scopo di renderla ancor di più un’azienda di Servizio pubblico.

Nessun Piano Industriale approvato”.

Come non bastasse, il sindacato dei dirigenti - che notoriamente vola basso - oggi si è sollevato, sempre a tema piano industriale: “L’Associazione Dirigenti RAI (ADRAI) osserva con crescente preoccupazione gli evidenti segnali di allarme sulle prospettive di sostenibilità del Servizio Pubblico Radio Televisivo.

La scorsa settimana, grazie alla provvidenziale assenza di due consiglieri, il budget previsionale è stato ‘non bocciato’ per impedire la paralisi aziendale.

Il piano industriale ancora non è stato sviluppato in tutte le sue linee eppure si poggia in maniera essenziale sul piano immobiliare che, complice la crisi generale ma anche la lentezza decisionale, vede il rischio concreto di ridimensionare il valore di realizzo delle cessioni previste.

La sbandierata riforma per generi per ora ha generato confusione di ruoli e problemi di gestione dei budget senza dare significativi slanci produttivi ed editoriali degni di futura memoria. E non di meno prosegue strisciante una ‘giornalistizzazione’ delle reti con una confusione dello specifico di due diverse professioni: il manager e il giornalista radiotelevisivo.

L’indebitamento a bilancio sarà sostenibile fintanto che lo saranno gli interessi passivi; il tema delle risorse si sarebbe dovuto porre nel rinnovo del Contratto di Servizio che invece è stato differito. Da troppo tempo non viene affrontato il rapporto con gli agenti e i produttori di intrattenimento che sembrano essere i veri signori della TV spingendo il sistema verso un sempre maggior ricorso ad appalti esterni.

L’esitante e confusa gestione del messaggio del Presidente Zelensky: prima video, poi audio e infine testo. La tragedia della guerra alle porte dell’Europa avrebbe meritato una più sobria e meditata gestione comunicativa.

E infine l’annuncio della presenza del Presidente della Repubblica Mattarella alla serata inaugurale con surreali ringraziamenti all’insaputa dei Vertici Rai. Una Rai che da tempo non riesce a palare con le Istituzioni; ma tant’è. Le Istituzioni del Paese meritano di più e di meglio. Su questi temi l’ADRAI ritiene che debbano essere definite strategie chiare, condivise con l’Azionista e funzionali alla realizzazione degli obiettivi del Servizio Pubblico.

L’Associazione Dirigenti RAI (ADRAI) per spirito di responsabilità non può più sottacere le criticità aziendali per troppo tempo non affrontate dal Vertice Aziendale e chiede l’apertura di un confronto costruttivo per garantire a tutti i cittadini-abbonati un Servizio Pubblico Radiotelevisivo all’altezza delle aspettative. La Rai è una risorsa culturale e informativa unificante per il Paese, va tutelata per il bene di tutti”.

Ecco, la frittata è fatta. Perché Sanremo è Sanremo. Ma la Rai, non dovrebbe essere questo spettacolo!

Il Comunicato Stampa dei Sindacati

RAI: un’azienda in stato confusionale. Dichiarato lo stato di agitazione.

Il 2023 della Rai è iniziato nel peggior modo possibile, con la percezione di un’Azienda ormai fuori controllo in ogni settore. Talmente fuori controllo che, neppure la cortina fumogena adottata finora dall’ a Fuortes, riesce ormai a nasconderlo.

Un caos organizzativo nei Centri di Produzione TV, gravati da carenze strutturali, con Torino e Napoli abbandonati in balìa degli eventi e Milano e Roma che scontano arretratezze tecnologiche, un ridimensionamento in tutti i ruoli di organico, compreso il mancato reintegro dei Quadri aziendali. Realtà involutiva, che tocca non solo i CPTV ma anche le Sedi Regionali, lasciando pensare a una dismissione strisciante della produzione radio televisiva.

Una confusione tra le lavoratrici e i lavoratori alle prese con un’azienda ingessata, che continua a perdere professionalità perché incapace di valorizzarne i talenti, e dalla quale i giovani più capaci scappano, perché privati di ogni prospettiva. Un’azienda capace solo di incrementare risorse e attività giornalistiche, senza ottimizzarle ma solo per tagli lineari di spesa (vedi cancellazione di edizioni della TGR). Un’azienda senza un vero piano di rilancio dell’informazione di prossimità, che coinvolga le Sedi regionali, realtà produttive strategiche, essenziali per questa RAI, allo scopo di renderla ancor di più un’azienda di Servizio pubblico.

Nessun Piano Industriale approvato, un ipotetico piano immobiliare, già senza coperture finanziarie sei mesi fa, e oggi completamente superato dall’impennata dell’inflazione, dei costi di ristrutturazione edilizia e dal contemporaneo crollo dei valori di mercato delle proprietà Rai. Un patrimonio in molti casi deteriorato da anni di incuria, la cui valutazione è di molto scesa, in un contesto di lavoro peraltro radicalmente cambiato dallo smart working, sempre meno bisognoso di immobili destinati a uso ufficio.

Sul piano economico e finanziario l’approvazione del budget 2023 con soli 3 voti su 7 attesta un sostanziale stato di crisi nel CdA. Gli attuali 625 milioni di euro che Rai deve alle banche, grazie alle quali ottiene parte della liquidità indispensabile per la propria attività, dovranno essere a breve rifinanziati a tassi di interessi crescenti, ben lontani da quelli di epoca pre-Covid, facendo schizzare a nostro avviso oltre il limite di sostenibilità, la soglia del debito. Una deriva che senza correzioni immediate potrebbe compromettere in modo serio la stessa continuità operativa del Servizio Pubblico Radiotelevisivo.

Tutti questi indicatori dovrebbero aver fatto scattare da tempo, negli amministratori e nella classe dirigente RAI, una vera presa di coscienza dello stato critico dell’Azienda, con la conseguente necessità di prendere decisioni e misure atte a riportare ordine nei conti e riorganizzare in maniera efficiente l’attività produttiva. Tagliare drasticamente la voce dei costi esterni (circa 1 miliardo di euro all’anno), ovvero appalti e consulenze “dorate”, utilizzando appieno le risorse interne, poteva e doveva essere una strada da seguire. Niente di tutto ciò è accaduto, come del resto dimostra l’inaccettabile situazione creatasi attorno al logo di Sanremo, appaltato all’esterno per la prima volta, denuncia sulla quale attendiamo ancora di avere spiegazioni dai vertici aziendali.

Sul piano delle relazioni industriali siamo scaduti da tempo a un livello molto basso. Le OO.SS. solo per senso di responsabilità, hanno continuato e continuano a dialogare con chi finge di non sentire oppure si trova nelle condizioni di non avere una delega a trattare fino in fondo. Una situazione non più sostenibile, che perdura a ogni appuntamento, in un estenuante susseguirsi di tattiche dilatorie che rimbalzano i poteri decisionali da una direzione all’altra, senza soluzione di continuità. Una pessima deriva verificatasi anche durante i recentissimi incontri sull’applicazione del contratto 2022, durante i quali i Sindacati hanno dato il via libera alle liste per la classificazione operaia e a poche altre armonizzazioni, senza che RAI recepisse le ulteriori e sacrosante rivendicazioni sindacali. Nessuna sostanziale e rilevante apertura su SW in produzione e FPH, nessuna proposta concreta che abbia fatto seguito agli affidamenti verbali dello scorso dicembre da parte Rai. Nessuna proposta formale alla richiesta di farsi carico dell’aumento dei costi della polizza FASI. La risposta è stata sempre e soltanto NO.

Per queste ragioni tutte le Organizzazioni Sindacali hanno deciso di stigmatizzare questo irresponsabile gioco al massacro, che dura da troppo tempo, le cui vittime sono sempre le lavoratrici e i lavoratori. Sia direttamente alle dipendenze della Rai oppure appartenenti alle aziende del mercato audiovisivo e multimediale che gravitano attorno alla galassia costituita dal gruppo Rai.

Le he le OO.SS. evidenziano il pericoloso aumento del deficit, il calo delle entrate pubblicitarie, l’assenza di un piano industriale e editoriale degno di menzione, l’assenza di un futuro certo per Rai Way e per le Sedi Regionali, la continua emorragia di ascolti di Radio Rai.

A questo si aggiungano le già richiamate grida di allarme per i CPTV maggiormente in crisi, come Torino, che rischia un drastico ridimensionamento se si continuano a inseguire i “desiderata” di agenti e artisti di turno, o come Napoli, la cui vertenza ha portato a una mobilitazione che Rai non vuole ascoltare e verso la quale mostra una totale disattenzione. Denunce cadute finora nel disinteresse dei vertici aziendali e nel silenzio di una politica più interessata a occupare la Rai invece di curarla. Se poi, a tutto questo, aggiungiamo infine le risposte evasive in tema di accantonamento in bilancio delle somme per rinnovare il contratto di lavoro scaduto, è evidente, come questo stato di cose, non sia più accettabile.

Risulta chiaro che quanto rappresentato determina sin da subito la dichiarazione di uno stato di agitazione di tutto il personale del Gruppo Rai, e nel caso non ci fossero le condizioni per iniziare una trattativa seria per il rinnovo del CCL RAI, in tempi ragionevolmente brevi, l’avvio una grande mobilitazione, nei confronti di questo vertice aziendale che non dà risposte ai tanti problemi dell’Azienda. Quella sarà l’occasione, inoltre, per richiamare alle proprie responsabilità tutto il mondo politico, su cui grava il compito, per mandato degli elettori, di garantire l’esistenza del Servizio Pubblico Radiotelevisivo, a presidio della democrazia e del pluralismo.

Le segreterie nazionali: SLC -CGIL, FISTEL-CISL, UILCOM-UIL, FNC-UGL, SNATER, LIBERSIND- CONFSAL

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