Culture

La diversità degli uguali

Gli umani si sono frammentati e divisi ma i loro interessi sono gli stessi. Come faranno a riscoprire la dimensione del bene comune? Ne parlano Eduardo Meligrana e Guido Scorza ne La privacy degli ultimi
Credit: Nishant Das
Tempo di lettura 5 min lettura
2 febbraio 2023 Aggiornato alle 06:30

Che cosa hanno in comune le persone più diverse?

La domanda costeggia soltanto apparentemente una forma elaborata di ossimoro.

In realtà, si tratta di una questione strategica, in un’epoca in cui è massima la frammentazione sociale, la parcellizzazione degli interessi, la debolezza dei deboli.

I quarant’anni di neoliberismo che sono forse finiti, condotti all’insegna del mito dell’individuo che sceglie razionalmente e merita la sua condizione sociale, hanno lasciato un buco nero nel quale si perdono di vista tutte le soluzioni ai problemi che si possono affrontare soltanto collaborando generosamente.

La crisi dei “corpi intermedi”, la compressione della dimensione di comunità, persino la fatica della democrazia, corrispondono alla difficoltà di concepire qualcosa che metta insieme persone ormai abituate a privilegiare sempre e comunque la prima persona singolare dei verbi rispetto alla prima persona plurale.

In quei contesti, una frase come «il mio vantaggio» è sempre ed evidentemente preponderante rispetto a qualsiasi argomentazione che riguardi «il nostro interesse». Ma una nuova fase storica si è aperta. E una delle chiavi per interpretarla è proprio quella che affronta la domanda: che cosa hanno in comune le persone più diverse?

Il libro di Eduardo Meligrana e Guido Scorza, La privacy degli ultimi (Rubbettino 2022) parte proprio da qui: “Detenuti, bambini, disabili visivi, Lgbtq+, vittime di pornografia non consensuale, migranti e rifugiati, pazienti e malati, lavoratori, poveri e senzatetto. Cosa hanno in comune queste persone?”.

La società di Meligrana e Scorza è popolata dalle biografie più diverse, ospita le storie più commoventi, recupera il valore di unire i puntini, o meglio i destini. Perché quelle persone hanno molto in comune. Innanzitutto sono tutti rappresentanti della variegata compagnia degli ultimi, degli invisibili, dei vulnerabili. E poi sono portatori di diritti dei quali, in quanto umani, non possono essere alienati: sono di tutti, sempre. La privacy in primo luogo. La fonte della libertà e della dignità. Anche nel mondo degli strumenti digitali che limitano gli spazi privati vitali, tutti hanno diritto a proteggerli.

Questa sensibilità che Meligrana e Scorza invitano a esercitare, tanto più preziosa in un contesto che sembra preda della legge del più forte, alimenta la fondamentale condizione strategica per affrontare ciò che c’è di più importante di fronte agli umani.

Vedere chiaramente che siamo diversi e che nello stesso tempo abbiamo un terreno comune sul quale trovarci a parlare è la via d’uscita dalla condizione che ha sostituito la “divisione del lavoro” con la “divisione dei lavoratori”, parcellizzati nei loro individuali punti di vista, aspettando ordini da un’applicazione sul telefonino della quale non conoscono i principi algoritmici.

Una società nella quale i gruppi che si riconoscono negli stessi valori negano qualsiasi legittimità a coloro che si riconoscono in altri valori, non è capace di unire le forze per informarsi sulla stessa realtà, deliberare nella stessa sede istituzionale, decidere strategicamente per il bene comune.

Gli algoritmi dei social network, insieme all’ingiustizia sociale, hanno ridotto drasticamente lo spazio nel quale si rispettano tutti per decidere insieme. Ma le intelligenze collettive funzionano soltanto se sono presenti le massime diversità cognitive e se le persone che rappresentano questa varietà sanno comunque discutere insieme. Se un gruppo persegue l’obiettivo di essere un’intelligenza collettiva, differenze e rispetto saranno i caratteri da coltivare.

Gli umani si trovano di fronte alle scelte più importanti. Riusciranno soltanto insieme.

La transizione ecologica li può unire in uno sforzo comune. Oppure può diventare la definitiva separazione dei loro destini.

Una ricerca dell’Onu, guidata dall’economista Thomas Piketty, sembra dimostrare che il 10% delle persone più inquinanti sono responsabili della metà delle emissioni di gas serra. E aggiunge che l’1% degli umani è responsabile di quasi un quarto della crescita dell’inquinamento totale nel mondo tra il 1990 e il 2019.

L’ineguaglianza delle emissioni di CO2 è più grande all’interno dei Paesi che tra i Paesi, sostiene il World Inequality Lab, come riporta il Financial Times. E se questo è vero, emergono impliciti incentivi per politiche che chiedano alle persone più inquinanti di realizzare gli sforzi maggiori in termini di riduzione delle emissioni. Sembra la ricetta per un’ulteriore frammentazione e conflittualità sociale oppure per una ritrovata unità di intenti.

Una sorgente della saggezza che serve per sciogliere il dilemma si trova nel mondo culturale evocato dal libro di Meligrana e Scorza. L’unità nella diversità non è una questione che si risolve nel formalismo del linguaggio politicamente corretto: è nella pratica dei diritti degli umani.

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