Economia

Cambia il codice degli appalti. E scompare la certificazione di genere

Nel testo trasmesso alle Camere si menziona l’articolo 46bis, ma non la misura che obbliga le aziende a puntare sull’inclusione. Perché?
Credit: Fred Herzog, Go, 1985
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
1 febbraio 2023 Aggiornato alle 07:55

I precedenti

Vale la pena, forse, ricordarlo ancora una volta: il nostro Paese è secondo solo alla Grecia per peggior tasso di occupazione femminile nel 2021, secondo i dati Eurostat. Circa 1 donna su 3 lascia il lavoro in concomitanza con la prima maternità. Siamo meno pagate degli uomini in tutti gli ambiti, perfino nel tanto acclamato settore delle Stem (anche qui, stando ai dati europei).

Ecco perché l’introduzione della certificazione per la parità di genere, prevista dall’articolo 46-bis del D.lgs. 11 aprile 2006, n. 198 (inserito dall’articolo 4, comma 1, della Legge 5 novembre 2021, n. 162) è stata salutata con grande gioia e soddisfazione dalle donne italiane, dalle attiviste, dalle giuriste e da tutte coloro che per anni avevano richiesto che il nostro Paese andasse in quella direzione.

Di cosa stiamo parlando? Cos’è la certificazione per la parità di genere?

L’articolo 46-bis prevedeva che, a decorrere dal 1° gennaio 2022, fosse istituita una certificazione che attestasse il livello di raggiungimento della parità di genere all’interno delle imprese, valutando concretamente le misure adottate per contrastare e ridurre le discriminazioni di genere. La normativa prevedeva che la valutazione si applicasse a uno spettro ampio di attività aziendali, dalla parità salariale alla parità di mansioni e alle opportunità di crescita professionale, dal salario accessorio all’equa rappresentanza delle donne nelle posizioni di vertice.

Non da ultimo, la certificazione per la parità di genere è stata prevista anche nel Pnrr, nell’ambito della Missione 5 (Inclusione e Coesione) e le sono stati destinati 10 milioni di euro.

Per le imprese che avessero portato a termine il processo di certificazione, è stato previsto inoltre un duplice beneficio: da un lato, gli incentivi fiscali legati all’esonero dal versamento dei contributi previdenziali; dall’altro, una premialità nella valutazione dei bandi pubblici, già introdotta anche per appalti sul Pnrr. E proprio il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevedeva che, entro il 2026, sarebbero state circa 800 le aziende italiane che avrebbero portato a compimento il processo di certificazione per la parità di genere.

Perché ne scriviamo utilizzando il “passato”?

Perché il Governo Meloni trasmette alle Camere il testo del nuovo Codice degli appalti. E si tratta di un testo che non contiene alcun riferimento alla certificazione per la parità di genere così come prevista dall’art. 46 bis del Codice delle pari opportunità. E quindi, mentre ci si aspettava che il nuovo Codice degli appalti facesse esplicito riferimento alle misure volte a contrastare e ridurre le disuguaglianze di genere, avviene esattamente il contrario.

È quanto scrive l’ex Ministra Bonetti in un post su Facebook, affermando che: “Nel nuovo testo si riconduce questa certificazione tra le tante presenti in un allegato temporaneo, senza riferimento alla legge che la istituisce. Si torna a parlare di donne come soggetti svantaggiati. Avevamo detto che con questo governo le donne sarebbero state le prime a pagare, e con questa mossa le donne pagano di certo”.

Le fa eco l’Onorevole Chiara Gribaudo, rilasciando un comunicato stampa in cui sostiene che “La certificazione di parità, che abbiamo costruito nella scorsa legislatura, è uno strumento fondamentale per colmare il divario di genere nelle retribuzioni e nelle opportunità di lavoro. Un lavoro fatto bene avrebbe introdotto nel nuovo codice degli appalti un riferimento specifico per contribuire a ridurre i divari di genere, in linea con gli obiettivi del Pnrr”.

Perché è importante? Perché la parità di genere è uno degli obiettivi fissati nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile, in quanto appartiene a pieno titolo a una prospettiva ampia di sostenibilità. La buona notizia è che quantomeno la sostenibilità non viene toccata dal nuovo codice degli appalti. E per fortuna, perché secondo un recente articolo di Italia Oggi, proprio i criteri di sostenibilità e di parità di genere renderebbero difficile la partecipazione alle gare per le imprese italiane. Ma non è tutto, perché l’assenza di discriminazioni di genere è anche uno dei parametri contenuti nei criteri Esg, in quanto indice di progresso ed equità. Ma non solo: è un fondamentale strumento di crescita economica. E noi, ancora una volta, rischiamo di perdere di vista l’obiettivo.

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