Culture

Che lingua parla l’antropocene?

Secondo il Bureau of Linguistical Reality abbiamo bisogno di un nuovo lessico per comunicare l’esperienza del cambiamento climatico e degli sconvolgimenti ambientali. E dobbiamo crearlo insieme
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
12 febbraio 2023 Aggiornato alle 08:00

Nonnapaura , chuco 헐sol o preuphoreau. Ci sono ottime probabilità che tu non abbia mai sentito una di queste parole, ma ci sono altrettante possibilità che tu possa farlo in futuro.

Secondo Heidi Quante, un’artista specializzata in un nuovo vocabolario ambientale e la sua collega artista Alicia Escott, le parole che abbiamo non bastano a definire l’esperienza di vivere nell’Antropocene, l’epoca che stiamo vivendo, “un periodo geologico caratterizzato dalla funzione centrale dell’essere umano nella modificazione dell’ambiente terrestre”, secondo Treccani.

Per questo, dal 2014 chiedono alle persone di aiutarle a co-creare un nuovo lessico, più adatto alla nostra era caratterizzata da cambiamento climatico, collasso della biodiversità e altre trasformazioni (in negativo) nel mondo naturale.

Una lingua da scrivere insieme

Il nuovo vocabolario non deve essere calato dall’alto, hanno spiegato alla BBC, ma è importante lavorare insieme per coniare parole, piuttosto che inventare nuovi vocaboli da soli. Per questo attraverso la partecipazione pubblica e installazioni pop-up in luoghi come i vertici sul clima cercano di far sì che la discussione sul cambiamento climatico sia partecipativa.

«Una delle cose che mi ha frustrato così tanto mentre lavoravo per i principali gruppi ambientalisti è il concetto che ci sono persone consacrate che ‘sanno’ e ci sono persone che ‘non sanno’. - ha spiegato Quante. - Ma con il Bureau, tutti hanno conoscenza: se hai un sentimento hai conoscenza; se hai un’esperienza, hai conoscenza». Per questo, sul sito è possibile proporre la propria parola.

È proprio da questo lavoro partecipativo che è nato nonnapaura, per descrivere un sentimento che unisce simultaneamente speranza e paura e che è stato ispirato da Linda Ruth Cutts, una donna che ha spiegato: «Sono terrorizzata per i miei figli ma allo stesso tempo desidero sperimentare i nipoti. Non so come condividerlo con loro».

Anche chuco 헐 sol (letteralmente sporco - wow - sole) che unisce gergo salvadoregno, coreano e spagnolo e descrive i tramonti bellissimi ma offuscati dall’inquinamento di Los Angeles è nato da uno scambio con due giovani di origine salvadoregna e coreana a Los Angeles.

Le parole della crisi

Ma quali sono le altre parole di cui tutti noi abbiamo bisogno per descrivere – e insieme comprendere – la realtà che ci circonda? «Molte non sono ispirate dall’inglese ma da lingue» dice Quante, più capaci di esprimere emozioni.

Sul sito si trova il portfolio e per ciascun lemma è disponibile non solo la definizione, l’utilizzo e la storia, ma in alcuni casi anche l’emoji corrispondente.

Qualche esempio?

Pyrora: coniata nel 2018 assieme alla collaboratrice Jessica Decker, descrive l’aria durante gli incendi (californiani), ovvero quando l’atmosfera assume una tonalità diversa a causa delle particelle di fuliggine al suo interno.

Sandulate: verbo che significa “capire che la costa è viva, e non possiamo limitarci a costruire le strutture solide che abbiamo; rispettandola”. Come mientierra – dallo spagnolo miente e tierra (che significa “un falso senso di terreno solido sotto di noi”) è nata dalla riflessione sul fenomeno dell’erosione costiera.

Shellaqua: ispirato dalle recenti inondazioni che hanno colpito la California, da shellac e aqua è l’atto di coprire una superficie un tempo permeabile con materiali di origine umana come l’asfalto, aumentando il rischio di inondazioni

Teuchnikskreis: è una di quelle parole che descrive come stiamo rispondendo in modo arrogante o sbagliato al cambiamento climatico e indica la “falsa convinzione che la creazione di tecnologia ci tirerà fuori dal nostro pasticcio, quando in realtà il nostro pasticcio è culturale”.

Marsificazione: della stessa categoria, descrive l’atteggiamento sbagliato che vede in Marte un possibile rifugio dal cambiamento climatico e dai problemi della Terra.

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