Culture

Madre, matrigna

3 libri, 3 autrici – più una – per esplorare le molteplici sfaccettature della maternità

Di maternità si parla spesso a sproposito. Parliamo di famiglie che non fanno figliǝ, di donne che lǝ figliǝ non li vogliono, di madri lasciate sole in un momento di massima vulnerabilità (ancora troppo poco, di questo).

Quella che raccontiamo, però, è quasi sempre la stessa immagine di una maternità ideale, o idealizzata, che si scontra, come mostrano le migliaia di testimonianze delle madri che chiedono di essere viste, e ascoltate, con una realtà molto più multiforme e caleidoscopica rispetto al modello unico a cui qualcuno vorrebbe farla aderire.

Una realtà che è fatta (anche) di rapporti difficili, di sofferenze, frustrazioni e dolori, in cui la maternità assume tante sfumature quante sono le madri – e i padri, e lǝ figliǝ – del mondo. Una realtà complessa, che descrive lo straordinario, eppure non sempre idilliaco, rapporto che lega una madre allǝ suǝ figliǝ, e lǝ suǝ figliǝ a lei.

Oggi ti consigliamo tre libri (più uno) che, anche senza farne l’oggetto del racconto, rappresentano la maternità nelle differenti forme che può assumere, per ricordarci che, se vogliamo continuare a parlare di madri, dovremmo prima avere il coraggio di guardarle per quelle che sono. Davvero, e non come pretendiamo di continuare a immaginarle.

La figlia unica, Guadalupe Nettel, La Nuova Frontiera, 224 p., 16,90€.

Tre donne, tre modi di essere madre (o di non esserlo e, allo stesso tempo, scoprirsi tale), tre mondi che si intrecciano intorno alla figura di Laura, che i figli non li vuole ma si confronta con la maternità difficile di Alina – e della sua piccola che lotta contro una diagnosi che non lascia scampo – e Doris, e il suo turbolento figlio.

Un libro poetico, in cui una scrittura leggera affonda in maniera tagliente dentro ferite che non sapevamo nemmeno di avere, che ci ricorda che l’amore è illogico, spesso incomprensibile. Ma, in fondo, non lo è anche essere genitori?

La spinta, Ashley Audrain, Rizzoli, 348 p, 18€.

È possibile per una madre non amare il proprio bambino? È possibile che quel legame di cui tutti parlano non si crei? E, soprattutto, è possibile abbandonare un figlio, o una figlia, quando compie l’indicibile?

Dietro La spinta di Ashley Audrain, un thriller inquietante e scorrevolissimo, si nascondono in realtà domande che interrogano il rapporto genitori/figli e, più ancora, il supposto istinto materno, la malattia mentale e il timore che sia ereditaria e cosa si possa tacere (agli altri e a se stessi) per preservare un’idea.

Un libro su madri cattive e cattivi bambini che riecheggia le pagine di …e ora parliamo di Kevin, il libro di Lionel Shriver più conosciuto per la trasposizione cinematografica in cui Tilda Swinton, Ezra Miller e John C. Reilly danno il volto ai protagonisti (e che è stato anche la causa della ripubblicazione del volume con il nuovo titolo).

Anche in Shriver – dove apparentemente il tema è quello dei mass shooting compiuti da adolescenti nelle scuole americane – dietro il racconto della madre di uno dei colpevoli che scrive all’ormai ex marito si nasconde una riflessione ancora più profonda, che guarda al cuore dell’essere madre senza filtri.

Con i denti, Kristen Arnett, Bollati Boringhieri, 274 p., 18€

Ultimo arrivato in libreria, il romanzo di Arnett mette insieme due temi su cui stereotipi e rappresentazioni distorte si consumano: la maternità e le famiglie arcobaleno.

Anche in questo caso, al centro del racconto c’è il rapporto di una madre, Sammie, con suo figlio, Samson, e un legame che sembra non riuscire a instaurarsi. Ma c’è anche il rapporto di Sammie con l’altra madre di suo figlio, sua moglie Monika nei confronti della quale non riesce a non covare quel risentimento che fin troppe donne conoscono bene. Anche in questo caso, c’è la realtà dietro l’idillio, l’esistenza concreta che squarcia i modelli a cui ci dicono (e ci diciamo) che dovremmo aderire.

Un libro brillante e coraggioso, che non ha paura di guardare e descrivere per quello che sono non solo il ruolo di madre, ma anche le famiglie omogenitoriali, che siamo soliti dipingere come idilliache come se, ammettendo che possono essere incasinate, infelici e disfunzionali – proprio come tutte le altre – togliessimo loro il diritto all’esistenza.

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