Ambiente

L’isola che non c’è (quasi più)

Per le isole Tuvalu è pronta la fuga nel metaverso ma servono anche nuove regole internazionali che assicurino la sovranità quando le acque sommergeranno le terre emerse e, prima di tutto, la volontà di evitarlo
Pescatori locali durante una battuta di pesca
Pescatori locali durante una battuta di pesca Credit: EPA/MICK TSIKAS AUSTRALIA AND NEW ZEALAND OU
Tempo di lettura 4 min lettura
29 gennaio 2023 Aggiornato alle 06:30

In un bel racconto di Camilleri, Un filo di fumo, si parla della storia dell’isola Ferdinandea, tornata alla ribalta in questi giorni a causa dei movimenti sismici nel canale di Sicilia, provocati da quelli della crosta terrestre coperta dal mare che possono condurre alla creazione di nuove isole.

È però di altre isole che vogliamo parlare, le Tuvala, che esistono da secoli e millenni e che il mare sta sommergendo, non a causa di eventi naturali ma dell’uomo, primo responsabile del riscaldamento globale. Così che quel che prima esisteva, diventerà solo un ricordo, un po’ come un sogno, come l’Isola che non c’è di Eduardo Bennato ispirata alla fiaba di Peter Pan.

Un tema questo in parte già affrontato dalla stampa, ma purtroppo spesso in modo troppo occidentale con i titoli come Le isole Tuvalu si spostano nel Metaverso, dove l’aspetto primario sembra più quello del metaverso che la tragicità della condizione di un popolo destinato a perdere il proprio territorio e quindi forse anche la sovranità.

Sì, la sovranità, perché per essere soggetti sovrani nel diritto internazionale occorre avere un territorio e poche sono le eccezioni, come il Sovrano Militare Ordine di Malta: i cavalieri dell’Ordine di Malta, che pure avendo perso i territori governati, sono riusciti ad avere il riconoscimento di soggetto di diritto internazionale che li vede anche come ente Osservatore all’Assemblea generale dell’Onu.

Ma guardiamo ai fatti. Le isole Tuvalu, nell’Oceano Pacifico, sono un piccolo stato insulare, tra le prime vittime del riscaldamento globale che piano piano sta sommergendo le sue isole con il mare, mentre le risorse d’acqua potabile interna sono compromesse dalla crescente contaminazione con le acque marine.

Nove isole e un popolo che ha la sua storia, la sua dignità e la sua volontà di essere tale, non mera addizione di esseri umani, ma Nazione. E mentre l’acqua sale molti sono i tentativi di richiamare l’attenzione internazionale a fare qualcosa che valga per le isole Tuvalu ma anche per i tanti scenari simili nello stesso Oceano e in altri mari, con la coscienza che quel che accade ora loro potrebbe accadere presto alle nostre isole e zone costiere.

Ne abbiamo parlato anche in un precedente articolo intervistando il ministro degli Esteri di questo Stato, Simon Kofe.

Tra le diverse iniziative a tutela delle isole, il ministro ha richiamato il piano Future Now, che prevede tra le varie cose l’intrattenimento di relazioni diplomatiche solo con i Paesi che si impegnano a riconoscere lo stato insulare di Tuvalu anche quando le acque lo avranno sommerse, la digitalizzazione dei documenti e la preservazione dei diritti di proprietà.

Pensare di perpetuare una cultura attraverso la digitalizzazione e la creazione di un ambiente virtuale può essere una provocazione o anche uno strumento per continuare a esistere quando le acque costringeranno a separarsi: ha il suo senso per chi non vuole rimanere un ricordo e continuare ad avere un legame di comunità, di una comunità che possa essere amministrata in via digitale, per continuare a esistere anche quando mancherà la terra sotto i piedi.

Quel che lascia perplessi consultando la stampa nei mesi passati è la miopia nel limitarsi a riportare la notizia, quasi fosse solo una curiosità o un modo di osannare il padrone della realtà virtuale del momento. Ma si sa, come il detto sufita insegna, gli uomini sono abituati guardare il dito (nel caso il metaverso) e non la luna che il dito sta indicando (ovvero la tragedia in cui ci stiamo calando per nostra insipienza).

Eppure basterebbe sentire il video di Dennis Tikapalippa delle isole Tiwi che spiega come per i nativi delle isole dell’Oceano Pacifico anche gli animali incarnino degli spiriti essenziali per la comunità, i Totem, che per noi occidentali troppo abituati alla narrativa dei filmi americani e poco rispettosi delle tradizioni altrui sono solo tronchi di legno ben decorati intorno ai quali i nativi americani danzavano.

Se si comprende questo, diventa impossibile stare semplicemente a guardare e magari solo riportare notizie che ci sembrano curiose.

E un punto ci sta particolarmente a cuore, dando il senso dell’umanità di un popolo: nel ringraziare lo staff di Simon Kofe, per l’intervista a suo tempo rilasciata, la segretaria Grace ha ringraziato noi perché cerchiamo di toccare “il cuore di molte persone e leader” per salvare le isole Tuvalu.

Per questo continueremo a parlare di loro e delle altre isole che subiscono i danni dal riscaldamento globale perché non vorremmo mai sentire un nuovo Bennato cantare una canzone sull’Isola che non c’è (più).

Leggi anche
Salute degli Oceani
di Costanza Giannelli 3 min lettura
Empowerment
di Alessia Ferri 4 min lettura