(Jasmin Sessler)
Ambiente

Bioplastica: una “zuppa” all’italiana

La direttiva Sup contro i prodotti monouso è entrata in vigore in Italia, ma con delle eccezioni che non vanno bene alla Ue. Il rischio, ora, è una procedura di infrazione
di Giacomo Talignani
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25 gennaio 2022 Aggiornato alle 15:00

Come noto, dal 14 gennaio in Italia è entrata in vigore la direttiva Sup, quella che vieta la vendita di un largo numero di prodotti monouso - dalle posate sino ai contenitori - in plastica. Lo scopo è naturalmente quello di ridurre l’incidenza della plastica sull’ambiente, che come sappiamo sta sconvolgendo la vita negli oceani e impattando profondamente sugli ecosistemi. L’Italia da mesi, prima di arrivare all’avvio della direttiva entrata in vigore una decina di giorni fa, aveva contestato alcune delle indicazioni imposte dall’Europa: su tutte l’applicazione dei divieti anche alle bioplastiche, biodegradabili e compostabili. L’Unione le ha inserite nella sua direttiva perché a oggi non c’è una certezza condivisa sui tempi di degradazione di queste plastiche in ambiente e ancora non è chiaro il loro possibile impatto.

Il nostro Paese però è un grande produttore di bioplastiche, fra i più importanti al mondo, per un settore che offre occupazione e sviluppo. Per questo il ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani e altri rappresentati della politica si erano messi di traverso rispetto agli obblighi voluti dall’Ue, contestando di fatto le scelte europee e apportando delle modifiche alla direttiva Sup, che in Italia è oggi una “zuppa” che mischia regole Ue con eccezioni italiane. Da noi, infatti, a differenza di come la direttiva viene applicata in altri Stati ci sono delle deroghe: per esempio, in Italia dai divieti sono esonerati i “rivestimenti in plastica aventi un peso inferiore al 10% rispetto al peso totale del prodotto, che non costituiscono componente strutturale principale dei prodotti finiti”. Ma anche eccezioni che permettono per esempio la plastica biodegradabile e in generale il commercio per diversi prodotti in bioplastica, “un elenco di eccezioni per taluni prodotti biodegradabili e compostabili per i quali la materia prima rinnovabile raggiunge una certa percentuale (il 40% per i primi due anni, il 60% a partire dal 2024, ndr)” si legge nella direttiva.

Quello che è accaduto è che - nonostante gli ammonimenti dell’Ue e dichiarazioni dei politici italiani in cui parlavano di aver trovato un’intesa con l’Europa - l’Italia è andata dritta per la sua strada dando vita a una sua direttiva personalizzata, che permette appunto le bioplastiche. Una ventina di giorni prima dell’entrata in vigore, però, la Commissione Europea ci ha avvertito nuovamente con un parere circostanziato in cui il commissario europeo al Mercato interno Thierry Breton segnalava che le difformità italiane non andavano bene. «La direttiva Sup non prevede alcuna eccezione per la plastica biodegradabile» scrive Breton. «Al contrario, prevede esplicitamente che la definizione di plastica contenuta nella direttiva dovrebbe comprendere la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo. Pertanto, tale plastica biodegradabile è considerata come qualsiasi altra plastica».

Il commissario ci ha avvertito ma noi siamo andati avanti lo stesso, nonostante l’Europa ci ha ricordato che non esistevano eccezioni per la plastica biodegradabile, che non potevamo pensare a una ipotesi di credito di imposta del 20% per le aziende che acquistano o utilizzano prodotti per esempio biodegradabili che in teoria dovrebbero essere esclusi, così come ci ha detto in sostanza che avremmo dovuto rinviare l’entrata in vigore della direttiva (a dopo il 23 marzo 2022) per farla partire con le regole condivise da tutti.

A questo punto - mentre il governo è andato avanti sul suo cammino garantendo così un sostegno per esempio alle imprese e al mondo della bioplastica - si aprono 3 possibili scenari sul futuro. Il primo è che la direttiva italiana venga rivista e si adegui a quanto vuole l’Europa. Il secondo scenario è che la questione si complichi, con Bruxelles che potrebbe presto avviare una procedura di infrazione nei nostri confronti, e in quel caso bisogna capire cosa comporterà. Una terza ma improbabile strada potrebbe infine arrivare da un confronto che, nel tempo, potrebbe portare a rivedere alcuni ragionamenti europei sulle bioplastiche.

Da pochi giorni e fino al 15 marzo come scadenza, la Commissione Ue ha lanciato una consultazione pubblica sulle bioplastiche. La consultazione, che raccoglierà diverse osservazioni dai cittadini sino alle aziende, riguarda la sostenibilità delle materie usate per le bioplastiche, l’efficacia della biodegradazione e altri passaggi su «plastiche derivanti da biomasse, biodegradabili e compostabili che possono apportare vantaggi rispetto alle plastiche tradizionali. Tuttavia, dobbiamo valutare a fondo se queste materie plastiche sono all’altezza delle loro promesse e in quali condizioni. Dobbiamo anche fare chiarezza sul mercato, in modo che i consumatori e le imprese possano comprendere facilmente le differenze tra queste materie plastiche» ha scritto Virginijus Sinkevicius, il commissario per l’Ambiente.

Dalla consultazione potenzialmente potrebbero uscire nel tempo indicazioni utili ad aprire, ma anche a chiudere ulteriormente, la strada alle bioplastiche in termini di benefici ambientali. Questi materiali derivanti da biomasse, biodegradabili e compostabili rappresentano attualmente l’1% del mercato mondiale ed europeo della plastica, con una crescita complessiva prevista del 5-8 % tra il 2020 e il 2025. Se la consultazione riuscirà a sciogliere alcuni nodi, non si può escludere - sempre che prima non arrivino infrazioni o ravvedimenti sulla direttiva dello Stivale - che si possano trovare nuove intese sui divieti o meno a questi prodotti.

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