Economia

Lavoro domestico? Troppo irregolare

Baby sitter, colf e badanti costituiscono il 26% del lavoro sommerso in Italia. Preoccupa il mancato accordo sulle retribuzioni, che potrebbe portare a un peggioramento del fenomeno
Credit: Liliana Drew/ Pexels
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19 gennaio 2023 Aggiornato alle 13:00

Il lavoro sommerso, o il cosiddetto “lavoro nero”, corrisponde a una totale “invisibilità giuridica” del rapporto lavorativo a causa dell’assenza di comunicazione dello stesso (e quindi di ogni copertura contributiva, assicurativa e fiscale a esso connessa) da parte del datore di lavoro agli enti preposti.

In Italia si registra un impatto maggiore del fenomeno rispetto al resto d’Europa. a oggi, il sommerso rappresenta ancora il 12,9% degli occupati secondo le stime dell’Istat.

Spesso e volentieri, quando si parla di lavoro sommerso, si fa riferimento a badanti, colf e baby sitter.

Non si tratta di associazioni mentali infondate o di pregiudizi, ma di una problematica reale: i servizi alle famiglie coprono circa il 26% dei lavoratori in nero totali. Parliamo di circa 961.000 lavoratori e lavoratrici in regola contro oltre 781.000 irregolari.

L’Inps calcola che il 90% degli irregolari sia donna e che circa il 70% siano stranieri, identificando un sistema che pesa soprattutto sulle classi più svantaggiate.

L’analisi dei datori di lavoro è incoraggiante: aumenterebbe del 13% rispetto al 2019 il volume di coloro che mettono in regola i propri collaboratori, secondo il IV Rapporto annuale sul lavoro domestico in Italia 2022 curato dall’associazione Domina.

Ma perché il “lavoro nero” ha tutto questo peso nei servizi alle famiglie?

Il Piano Nazionale per la Lotta al Lavoro Sommerso 2023-2025, approvato dal Governo lo scorso 21 dicembre e che deve ancora essere attuato, identifica tra le principali motivazioni le difficoltà nel controllare le abitazioni private, la pluralità di rapporti in capo a uno stesso lavoratore e la paura di quest’ultimi a denunciare le irregolarità.

Eppure, trovare una soluzione è indispensabile: l’Inps stima che, eliminando la quota di lavoro domestico sommerso, l’impatto sull’occupazione totale scenderebbe di 3 punti percentuali circa, arrivando al 10%.

Ad agire in tale direzione è proprio il Piano Nazionale. Si parla in primis di una semplificazione del Libretto Famiglia per il lavoro domestico occasionale, ovvero un libretto rilasciato dall’Inps in seguito alla registrazione dell’utilizzatore (datore di lavoro) e del prestatore (lavoratore) contenente dei titoli di pagamento (o voucher) di 10 euro ciascuno. Inoltre, si identifica la necessità di ridurre la componente “informale” dei servizi alle famiglie che si basano in gran parte sul passaparola di un amico, un familiare o un collega. Proprio per questo, l’obiettivo è facilitare l’incontro tra domanda e offerta, anche tramite la realizzazione di una sezione dedicata nel portale dell’Inps, o sviluppando un’app ad hoc e permettendo anche l’identificazione dei rapporti di lavoro nascenti e del loro futuro sviluppo.

In termini contributivi, invece, il nostro sistema fiscale permette di detrarre fino a 1.549,36 euro l’anno dei contributi sociali pagati ai lavoratori domestici e quindi circa il 10% - 15% del costo totale.

La maggior parte dei lavoratori del settore è impiegata dalle famiglie nella fascia di reddito medio –alta, per questo potrebbe esser previsto l’importo totale del bonus (al momento sconosciuto) solo per i contratti di almeno 20 ore settimanali, riducendolo proporzionalmente per quelli più brevi.

Se da una parte il bonus dovrebbe decrescere a fronte di livelli più elevati di Isee, al tempo stesso non dovrebbe essere inferiore a quanto già possibile detrarre in sede di dichiarazione dei redditi.

Tante idee e buoni propositi che tuttavia rischiano di non essere sufficienti di fronte a una situazione che, secondo Assindatcolf, potrebbe peggiorare.

Il 16 gennaio, presso il Ministero del Lavoro, durante l’ultimo incontro tra le associazioni dei datori e i sindacati del settore per l’aggiornamento retributivo nessun accordo è stato concluso.

Questo, spiega Fidaldo (Federazione nazionale dei datori di lavoro domestico), comporta l’adeguamento all’80% dell’indice Istat per le retribuzioni minime, come previsto dall’Art 38 del Ccnl domestico (Contratto Collettivo Nazionale) che di conseguenza da gennaio aumenteranno del 9,2%, e al 100% per le indennità di vitto alloggio. Un aumento che potrebbe oscillare tra i 109 euro e 145 euro al mese per le famiglie spingendole con grandi probabilità a rinunciare ai collaboratori domestici, o quantomeno ai loro contratti regolari.

In Europa siamo tra i Paesi con la più bassa percentuale di detrazioni e deduzioni del costo dell’assistenza domiciliare e questa di fatto non contribuisce a ridurre i costi per le famiglie.

A questo punto però intervenire è d’obbligo: il mancato accordo della Commissione nazionale per l’aggiornamento retributivo relativo alle figure contemplate nel contratto nazionale del lavoro domestico potrebbe rappresentare la goccia che fa traboccare un vaso già pieno di lavoratori e lavoratrici irregolari.

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