Diritti

Ucraina: un rifugio accoglie le attiviste in fuga

FemApartment si trova nella periferia di Lviv. Nata come una “casa temporanea” per 5 persone, oggi ospita donne disposte a fare volontariato per aiutare le altre vittime di guerra
Credit: Femwork.org
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
17 gennaio 2023 Aggiornato alle 09:00

Nella periferia di Lviv - una città nella zona occidentale dell’Ucraina in cui pochi giorni fa il presidente Volodymyr Zelensky ha posato i fiori sulle tombe dei soldati caduti in guerra da febbraio - c’è un edificio residenziale in stile sovietico che cela tra le sue mura un rifugio per le donne costrette a fuggire da diverse parti del Paese.

FemApartment è un luogo in cui le donne possono rilassarsi, ricaricarsi psicologicamente e fisicamente prima di tornare al lavoro”, ha spiegato Katya Dovbnia sul sito di Feminist Workshop, una Ong che opera dal 2014 per creare uno spazio per lo sviluppo della comunità femminista a Lviv e in Ucraina. Dall’inizio dell’invasione russa, il 24 febbraio 2022, la rete ha ampliato la gamma delle sue attività, distribuendo informazioni riguardo supporto medico, legale e psicologico per le vittime di violenza sessuale, e cercando di trovare rifugi sicuri per donne e ragazze in fuga sia dalla guerra che dalla violenza domestica.

Oggi la maggiore responsabilità di Dovbinia, studentessa laureata in sociologia all’Università di Lviv e coordinatrice di Feminist Workshop, è fornire alle persone alloggio e bisogni primari. Quando è scoppiata la guerra, spiega un reportage di Al Jazeera, Dovbinia ha ottenuto un alloggio temporaneo a Lviv da proprietari privati - ​​destinato a circa 23 donne e bambini che hanno perso la casa a febbraio - più un appartamento temporaneo per le attiviste sfollate provenienti da altre regioni dell’Ucraina: FemApartment è completamente gratuito, così come l’altro alloggio, grazie a raccolte fondi online e sovvenzioni che provengono da altre Ong in Europa.

Inizialmente doveva essere una “casa temporanea” per 5 giovani donne, poi è diventato un rifugio per chiunque ne avesse bisogno: si tratta perlopiù di donne provenienti dal nord-est del Paese, una delle zone più toccate dal conflitto. Molte si sono ritrovate senza casa e senza soldi, ma attraverso TikTok e altri social network hanno scoperto il rifugio dedicato alle donne coinvolte nelle reti dell’attivismo.

Chi viene accolta, infatti, deve avere una certa esperienza in questo campo, ed essere disposta a fare volontariato per aiutare altre vittime di guerra. C’è un modulo da compilare in cui sono spiegate le regole del soggiorno: non divulgare pubblicamente il proprio indirizzo, non pubblicare foto della casa o della vista dall’appartamento, organizzarsi autonomamente sulle pulizie della casa, prepararsi da sole il cibo fornito dall’Ong, non avere animali. È anche possibile portare ospiti nel rifugio, ma è vietato lasciargli trascorrere la notte nell’appartamento. Chi si propone come ospite della struttura deve rispondere ad alcune domande: “Perché hai bisogno di un rifugio? In quale città ti trovi?”, oppure “Che tipo di attivismo facevi prima? Cosa vorresti continuare a fare a Lviv?”.

L’organizzazione fornisce aiuto anche per l’attuazione dei progetti delle inquiline e offre l’opportunità di usare l’ufficio dell’Ong. Le attiviste possono rimanere nell’appartamento fino a 6 mesi e, spiegano, “il periodo può essere prolungato in circostanze particolari”. Attualmente c’è una copywriter e artista hip-hop originaria di un sobborgo della capitale Kyiv, che nei primi giorni della guerra viveva a soli 10 km dalla città di Bucha, dove a marzo sono stati ritrovati i corpi di 458 civili. Aveva smesso di comporre pezzi prima di arrivare al FemApartment: «Come potevo scrivere canzoni quando i razzi uccidevano persone ogni giorno?», ha spiegato a Al Jazeera. Ora ha ripreso a scrivere.

Divide la stanza con una ragazza che ha avviato Bilkis, un progetto educativo per sensibilizzare riguardo le questioni relative ai diritti delle donne, e organizza anche assistenza umanitaria per le donne e le persone Lgbtq. Poi c’è una studentessa proveniente da Kharkiv, nella regione nord-orientale dell’Ucraina, una delle città maggiormente colpita durante la guerra; un’altra che viveva nel dormitorio dell’Università di Lviv, chiuso da quest’estate, e una ragazza originaria di Rubizhne, nella regione di Luhansk, che faceva la babysitter a Kharkiv.

Queste ragazze sono fuggite dal conflitto come i 4,8 milioni di ucraini che hanno cercato rifugio nei Paesi dell’Unione Europea. In Italia hanno varcato le frontiere in più di 171.000, di cui oltre 91.000 donne adulte e circa 49.000 minori. Tra loro, ci sono le donne ucraine ospitate dalla Comunità Don Orione di Milano, a cui l’attrice e sceneggiatrice Carolina de’ Castiglioni ha voluto dare (la sua) voce nel cortometraggio DODOMU, una Casa Lontana da Casa, diretto da Amaranta Medri con la fotografia di Michele Garofoli.

Tra marzo e luglio 2022 ha intervistato molte delle profughe ucraine accolte, insieme a una dissidente russa, e poi ha scritto e realizzato il corto che uscirà sui social il 20 gennaio e «intende celebrare la resilienza delle rifugiate ucraine», spiega de’ Castiglioni alla Svolta. Una storia che l’ha particolarmente colpita è quella di Ella, «che ha imparato l’italiano proprio grazie ai corsi organizzati dal Don Orione. Lei e il marito sono riusciti quasi subito a trovare lavoro in una pasticceria, anche se il suo sogno sarebbe quello di tornare a fare l’istruttrice di nuoto (il suo lavoro a Kiev) - racconta - Mi ha anche confessato di avere un debole per i Maneskin: “Li adoro quando cantano in italiano: cantano con l’anima. Mi hanno aiutata molto”».

Poi c’è Margo, «un’artista tredicenne che ha appena esposto le sue opere a Milano. Quando l’ho incontrata mi ha detto che il suo stile è cambiato da quando ha lasciato l’Ucraina, che i suoi disegni le piacciono di più. Liuba mi ha raccontato di un’Italia diversa da come la conoscevo, piena di generosità, di opportunità. Parlando con queste donne ho notato una resilienza fuori dal comune. Pur essendo tutte estremamente addolorate e arrabbiate, c’era qualcos’altro che accomunava i loro racconti: la speranza». Per de’ Castiglioni, che vive e lavora tra l’Italia e gli Stati Uniti, questo è il quinto cortometraggio realizzato in Italia. Sulla sua pagina Instagram il docu-video Ridiamoci su, scritto e interpretato da lei, che si schiera contro gli stereotipi di genere, conta più di 800.000 visualizzazioni.

Perché realizzare un cortometraggio che parla di rifugiate ucraine a quasi un anno dall’inizio dell’invasione? «Si parla spesso di ciò che succede in Ucraina, abbiamo tutti visto le foto strazianti dell’esodo dei profughi. Una volta arrivati in Italia o in un altro Paese ospitante, però, ci comportiamo come se avessero raggiunto la terra promessa, il lieto fine di una favola firmata Disney. Penso, invece, che sia importante esplorare il “dopo”». De’ Castiglioni ha voluto parlare di loro e «di tutte le centinaia di migliaia di rifugiati che hanno ricevuto un trattamento diverso. Gli italiani sono stati esemplari nell’accogliere i profughi Ucraini. Come lo abbiamo fatto per loro, possiamo farlo anche per chi fugge dalla Libia, dal Pakistan, dalla Siria».

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