Economia

Settore balneare: finita l’estate, che si fa?

Cosa succede quando a settembre, dopo circa 5 mesi di attività, si chiudono gli ombrelloni in spiaggia? Terminano i contratti e ai lavoratori viene riconosciuta la Naspi stagionale
Credit: Alex Blajan/unsplash
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29 novembre 2022 Aggiornato alle 20:00

Settore balneare: un po’ di numeri

103.620 concessioni, 6.318 stabilimenti balneari, meno di un’impresa per chilometro di costa e un miliardo di fatturato annuo complessivo, che significa una media di 159.000 euro per azienda. Sono i numeri dell’economia che gira intorno al demanio marittimo, secondo un’indagine elaborata dal Sindacato italiano balneari.

Ad avere il maggior numero di stabilimenti balneari, censiti dal Ministero delle infrastrutture, sono l’Emilia-Romagna (962), seguita da Toscana (830), Liguria (711) e Campania (608). Quelle degli stabilimenti balneari rappresentano il 6,1% del totale delle concessioni demaniali marittime e, se si tiene conto che la lunghezza delle coste italiane, che ammonta a circa 7.500 chilometri, la densità delle imprese che vi sorgono è di 0,8 per chilometro.

Il lavoro balneare: da aprile a settembre

Il lavoro nel settore balneare viene definito stagionale, perché si può esercitare solo per brevi periodi in cui vi è l’esigenza di assunzioni temporanee per un eccesso di lavoro a carico delle aziende. Questa attività rientra nel più ampio termine di lavoro a tempo determinato o a termine, e la durata in genere è per un breve o medio lasso di tempo e può presentare il carattere della periodicità.

Durante il periodo estivo, che solitamente va da aprile a settembre, la domanda aumenta, arrivando a richiedere anche il triplo dei dipendenti che servirebbero durante la bassa stagione. I principali settori di occupazione sono quello turistico, agricolo e alimentare.

Il settore turistico quest’anno ha registrato un +11% rispetto al 2021, ma tutta la stagione è stata caratterizzata da una grande difficoltà di reperimento dei lavoratori stagionali. In base alle informazioni raccolte dall’indagine di Assoturismo, si rileva infatti un aumento complessivo delle presenze del trimestre estivo (giugno-luglio-agosto) pari al +15,5% sul 2021. Per la componente nazionale l’aumento è del +5,1%, mentre la componente straniera sale al +35,4%, anche se resta ancora molto inferiore rispetto ai livelli del 2019, segnando un -20,2%.

Qualsiasi crescita, anche minima, della domanda di lavoro nel comparto turistico incrocia vincoli importanti nell’offerta, di ordine demografico, normativo, organizzativo e professionale. Occorre tener conto che la domanda di lavoro può crescere anche in funzione dell’innalzamento della qualità dei servizi offerti, oltre che dell’incremento dei turisti. In effetti, si stima che negli ultimi anni il rapporto tra giornate di presenza turistica e giornate di lavoro stagionale sia sceso da oltre 7 a circa 6 e se il trend viene confermato significa che anche a parità di presenze turistiche serve un maggior impiego di forza lavoro.

Finisce l’estate: e dopo?

Al termine del contratto lavorativo, viene riconosciuta la Naspi stagionale. In queste ultime settimane si è appreso che il governo Meloni sta ipotizzando di ridurne la durata, portando alle prime proteste da parte dei lavoratori stagionali.

Attualmente la Naspi è corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà di quelle coperte da contribuzione, nel corso degli ultimi 4 anni, ossia per un massimo di 24 mesi. La Lega chiede di scendere al di sotto del 50% del periodo lavorato negli ultimi 48 mesi e la Naspi, quindi, non spetterebbe più per la metà dei mesi lavorati nel quadriennio precedente, bensì per il 40% o persino il 30%.

Per esempio, chi ha lavorato per 1 anno prenderebbe l’indennità di disoccupazione per 3 o 4 mesi, a differenza dei 6 riconosciuti oggi.

Giovanni Cafagna, presidente dell’Associazione nazionale lavoratori stagionali, è intervenuto sottolineando che «I giovani che entrano nel mondo del lavoro sono sempre meno e non riescono a rimpiazzare quelli che abbandonano la stagione, proprio perché se lavorano 6 mesi poi hanno solo 3 mesi di sussidio. Ora si parla di un’altra possibile riduzione della Naspi e ciò aggraverebbe ancora più la situazione».

È da considerare che questo tipo di indennità è vista come un disincentivo per i lavoratori nel cercare una nuova occupazione sotto contratto e che incrementa il ricorso a lavori irregolari.

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