Economia

Commercio, anima della pubblicità

Si profila un nuovo paradigma nell’advertising online. Le piattaforme di ecommerce stanno attirando budget sempre più consistenti. Altri problemi per i giornali. E per i social network
Credit: Cottonbro
Tempo di lettura 3 min lettura
24 novembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Mentre si sgonfia la decennale bolla dei social network, avanza una nuova ondata di piattaforme per la pubblicità digitale. E come spesso accade, su internet, si tratta della soluzione meno ingegnosa e più semplice, ma che era nascosta dai pregiudizi.

Già. Il pregiudizio vuole che piattaforme che si occupano di informazione raccolgano attenzione del pubblico per poi rivenderla agli inserzionisti pubblicitari. Questi a loro volta sperano che il pubblico veda i loro annunci e vada a vedere quali sono i prodotti che si possono comprare, per poi andare al negozio a comprarli. Una serie di passaggi che era pienamente comprensibile nel mondo analogico. Ma che non lo è molto nel mondo digitale.

In effetti, la nuova ondata della pubblicità digitale è partita dalle piattaforme per il commercio elettronico. Queste attirano un traffico ragguardevole. E con i lock-down decisi per contenere la diffusione della pandemia hanno raggiunto livelli mai visti prima. E quindi hanno deciso che quel traffico poteva essere indirizzato anche a vedere inserzioni pubblicitarie particolarmente interessanti per gli inserzionisti, proprio perché contestualizzate nello stesso posto nel quale i consumatori possono passare all’azione e comprare.

Le piattaforme conoscono gli utenti in modo molto preciso: non hanno bisogno di inferire chissà quali ipotesi sui loro gusti e orientamenti, perché sanno direttamente che cosa comprano o cercano di comprare e quindi possono proporre inserzioni miratissime, con efficacia notevole.

Non per niente negli Stati Uniti, Amazon, Walmart e altre compagnie di vendite al dettaglio che hanno una forte presenza online stanno conquistando budget pubblicitari ragguardevoli. Secondo eMarketer, le piattaforme di Google (Alphabet) e Facebook (Meta) restano leader nella raccolta pubblicitaria, con più di 60 e 50 miliardi di dollari rispettivamente negli Usa, ma i venditori al dettaglio nel loro complesso ormai raccolgono quasi 40 miliardi di pubblicità sempre negli Stati Uniti. Anche altrove si sta andando nella stessa direzione, come mostrano i casi del Regno Unito e della Francia, secondo un’inchiesta del Financial Times.

Come sempre, nelle faccende che riguardano i media, le vecchie soluzioni non spariscono ma si riposizionano. Sarà interessante vedere se siamo già a questo punto per i social network. Per ora a pagare per l’espansione della pubblicità raccolta dalle catene di distribuzione online sono ancora i giornali e la radio. Ma le difficoltà di Facebook sono evidenti, almeno in termini di rallentamento della crescita.

La domanda è: i social network si riposizioneranno sulla raccolta di pubblicità per il branding, un po’ come è toccato ai giornali, o troveranno altre strade? Nel primo caso dovranno drasticamente riqualificare la qualità della loro offerta informativa, forse addirittura facendo pagare per il servizio, come ha tentato maldestramente di fare Elon Musk arrivato a Twitter. Già si vede quante preoccupazioni manifestano i grandi brand internazionali che non si fidano della qualità del contesto per le loro inserzioni offerta da Twitter o Facebook. Nel secondo caso, invece, dovrà cambiare il modello di business dei social network: si pensa che possano tentare, come avviene in Cina, di diventare delle super applicazioni in grado di offrire anche soluzioni di acquisto di beni e pagamenti.

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