Economia

Welfare, Italia non ci siamo

Il rapporto annuale del think tank di Unipol Gruppo e The European House-Ambrosetti fotografa un Paese vessato da spesa previdenziale, inflazione e crisi demografica. Ma la ricetta per cambiare esiste
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Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
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23 novembre 2022 Aggiornato alle 07:00

L’Italia è la prima delle Big Four (Italia, Francia, Germania e Spagna) per incidenza della spesa pubblica sul Pil in merito alla previdenza – pari al 17,9%, +4,5% rispetto all’Eurozona – e il penultimo Paese europeo per tasso di occupazione nella fascia 20-64 anni: 62,7%, oltre 10 punti percentuali in meno della media europea.

È la fotografia scattata dall’ultimo rapporto annuale del think tank “Welfare, Italia”, presentato il 22 novembre in collaborazione con Unipol e The European House - Ambrosetti e da un comitato scientifico composto da Veronica De Romanis, Giuseppe Guzzetti, Walter Ricciardi e Stefano Scarpetta.

La spesa previdenziale

In termini relativi, infatti, la previdenza continua ad assorbire circa la metà della spesa in welfare (48,4%), seguita dalla sanità (21,8%), dalle politiche sociali (18,2%) e dall’istruzione (11,6%). Un primato, quello italiano rispetto alle vicine sorelle dell’Eurozona, che determina uno sbilanciamento tale che il nostro Paese è ultimo o penultimo in tutte le restanti voci di spesa.

L’aumento di oltre 20 miliardi di euro osservabile tra il 2019 e il 2022 (+8,2%), secondo l’osservatorio, è dovuto principalmente all’incremento del ricorso a ‘Quota 100’ – pensionamento anticipato con 62 anni di età e 38 anni di contributi – in vigore dal 2019, che ha inciso sull’aumento per il 28,4% della spesa in previdenza nel 2019 e per il 74,4% nel 2020.

Sanità e istruzione

A farne le spese sono in primo luogo la sanità e, vero calimero della nostra penisola, l’istruzione, introdotta dal think tank a partire dal Rapporto 2021 come «strumento di welfare essenziale per ridurre le disuguaglianze e risolvere i problemi strutturali del Paese». Dal 2009 al 2020 la spesa in istruzione si è ridotta di 800 milioni di euro (-1,2%), e a eccezione del 2009 «l’Italia è sempre stata ultima per rapporto tra spesa in istruzione e Pil» rispetto ai principali Paesi europei.

Se le spese sanitarie hanno subito un incremento a fronte dell’emergenza pandemica, +6,4% solo nel 2020, nel decennio pre Covid-19 l’Italia riporta una crescita del settore pari a +4,5% contro il +24,3% dell’Eurozona, e mostra in generala una certa staticità se confrontata al trend delle Big-4 europee.

Al contrario nel 2021 la spesa sanitaria privata ha raggiunto i 41 miliardi di euro (+7,4% rispetto al 2020), rappresentando il 24,4% della spesa sanitaria totale. L’Italia è anche «il primo Paese tra i Big-5 europei per spesa out-of-pocket sostenuta dalle famiglie italiane sul totale della spesa sanitaria privata (89,1%)».

L’evoluzione demografica

Alla radice di questi problemi troviamo le dinamiche demografiche, vera e propria cartina al tornasole della salute del sistema Paese. Nel 2021, per la prima volta nella storia italiana, il numero di nati è sceso sotto la soglia dei 400.000, contribuendo a un saldo naturale negativo di 214mila persone. Il tasso di natalità è di 6,8 nati per 1.000 abitanti, il valore più basso dell’Unione europea (9,1 nati).

Ma a incidere sull’età anagrafica della popolazione, oltre ai non-nati che rendono l’Italia una sorta di zombie movie a rovescio, è anche la famigerata “fuga dei cervelli” e dei portafogli. ‘Welfare, Italia’ ha stimato che se tutti gli emigrati nel 2020 non tornassero in Italia durante la loro vita lavorativa, il Paese perderebbe circa 147 miliardi di euro, pari alla somma tra il costo della spesa in istruzione perso, 10,5 miliardi di euro, e i mancati redditi guadagnati dagli emigrati, 136,5 miliardi di euro.

L’inflazione

A tutto questo si aggiunge lo zampino acuminato dell’inflazione, che rischia di portare da 2 a 2,3 milioni il numero di famiglie in povertà assoluta, per un totale di 6,4 milioni di persone. Secondo le stime Ocse, nel 2022 il valore dei salari reali in Italia subirà una contrazione del 3,1% (rispetto alla media Ocse di -2,3%), in un contesto in cui l’Italia è stato l’unico Paese dell’area Ocse che negli ultimi 30 anni ha visto una diminuzione dei salari (-0,1% annuo tra 1990 e 2020).

«Sul finire della prima ondata pandemica, circa un anno fa, diversi Istituti previsivi attribuivano all’Italia le potenzialità per avviare un ciclo virtuoso di crescita e intervenire su alcune criticità strutturali del Paese e del suo sistema di welfare», ricostruisce Carlo Cimbri, presidente di Unipol Gruppo.

«Purtroppo – aggiunge Cimbri – il conflitto russo-ucraino, l’aumento del costo delle materie prime, il caro energia e la conseguente crescita anomala dell’inflazione hanno indebolito il percorso di ripresa e messo ancor più sotto stress il sistema di welfare, chiamato a gestire le nuove sfide congiunturali».

Una «tempesta perfetta», la definisce Valerio De Molli, managing partner e amministratore delegato di The European House – Ambrosetti, che sottolinea come «il reddito disponibile delle famiglie meno abbienti è già stato più che decimato, riducendosi del 20,7%», e dallo Spazio Field di Palazzo Brancaccio di Roma dov’è stato presentato il rapporto lancia un appello accorato a tutti gli attori del settore: «Fate presto».

La ricetta: istruzioni per l’uso

Il think tank ha quindi individuato quindi 6 priorità di azione per far fronte a questo scenario. In primo luogo quella di integrare il tema della natalità all’interno della Tassonomia sociale europea, da collegarsi alla promozione di misure finalizzate a sostenere la genitorialità e ad accrescere l’occupazione femminile.

Ad oggi l’Italia è penultima nell’Unione europea per tasso di occupazione femminile e prima per tasso di part-time involontario con percentuali più alte per le donne. In Italia, inoltre, il 27% del reddito familiare è destinato a accudire i figli contro il 25% del Regno Unito, 15% della Francia e il 2% della Germania.

Serve poi mitigare i flussi migratori in uscita e rendere più efficiente il mercato del lavoro anche per i cittadini stranieri. «Oggi il saldo migratorio italiano è caratterizzato dalla fuga di cervelli e da un’immigrazione poco “qualificata”», osserva il think tank.

Da un lato, nel 2020 sono emigrati circa 40.000 giovani tra i 25 e i 34 anni, un terzo degli emigrati totali, con un costo per emigrato tra 939.000 e 1,5 milioni di euro sulla base del titolo di studio, dall’altro lato solo il 6,4% dei permessi di soggiorno rilasciati è per lavoro – contro il 56,9% per motivi famigliari –, anche a causa di un mercato del lavoro poco attrattivo: l’Italia è 22° tra i Paesi Ue per tasso di occupazione degli immigrati (57,8%) e solo il 13% degli stranieri in Italia è laureato, il valore più basso tra i Paesi Ocse.

Per questo “Welfare, Italia” propone di potenziare i centri per l’impiego tramite la creazione di banche dati nazionali e il tracciamento puntuale di ogni offerta di lavoro formulata, l’integrazione delle agenzie di intermediazione private nella selezione delle offerte e il rafforzamento del matching tra i fabbisogni professionali delle imprese e le competenze, anche tramite specifiche piattaforme digitali.

Necessario anche valorizzare il contributo della componente previdenziale integrativa. «L’aumento della spesa previdenziale non potrà essere gestito senza un adeguato contributo del settore privato che, tuttavia, a oggi risulta sotto-valorizzato», sottolineano gli esperti di Welfare Italia.

In Italia la partecipazione alle forme di previdenza integrativa è pari al 34,7% dei lavoratori rispetto al 55% della Germania e all’88% nei Paesi Bassi, e se si considerano gli individui che nel 2021 hanno versato contributi nei fondi previdenziali, il tasso di partecipazione si ferma al 25,4%.

A questo si aggiungono importanti differenze territoriali – dal tasso di partecipazione del 57,5% del Trentino-Alto Adige al 25,2% della Sardegna –, di genere e di età: 23,9% negli under-35 rispetto al 45,1% nella fascia 55-64 anni e del 30,9% per le donne contro il 37,5% per gli uomini.

Occorre infine favorire l’allargamento dell’offerta dei servizi di welfare attraverso le soluzioni di welfare contrattuale e aziendale e da ultimo ridefinire il reddito di cittadinanza come strumento di inclusione sociale e potenziare i meccanismi di attivazione e inserimento lavorativo. Il think tank registra che «il 56% delle persone povere non ha effettivamente accesso al sussidio e 1 percettore su 3 in realtà non è povero».

Il messaggio di Mattarella

«La collaborazione tra pubblico, privato e terzo settore è una chiave, nella conferma del carattere universale dei diritti, per potenziare e ammodernare i servizi. Lo squilibrio demografico che colpisce il Paese e incide sulla sostenibilità presente e futura del modello di welfare, propone, a sua volta, interrogativi», ha affermato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un messaggio inviato al Welfare Italia Forum.

«Servono, dunque – ha aggiunto Mattarella – una visione di lungo periodo e uno sforzo congiunto di tutti gli attori sociali che concorrono nel rispondere alla domanda di assistenza, di cura, di prevenzione, di tutela, in un contesto che vede la concreta minaccia di aumento delle povertà e la follia della guerra moltiplicare i fattori di crisi».

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