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Decrescita, un nuovo paradigma per il futuro

In un mondo che rincorre lo sviluppo senza sosta, il libro Che cosa è la decrescita oggi espone nuove teorie sull’equilibrio con l’ecosistema e sulla fine della crescita economica
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26 novembre 2022 Aggiornato alle 17:00

Secondo le ultime proiezioni del Fondo Monetario Internazionale la crescita dell’economia globale dovrebbe attestarsi intorno al +2,7% nel 2023. Un trend sostanzialmente deludente rispetto alle previsioni del passato, che porta molti leader a essere spaventati dalla stagnazione in corso o addirittura dalla recessione che colpirà diverse nazioni avanzate.

La crescita del Pil è infatti considerata imperativa, un dogma inviolabile che condiziona ogni politica governativa e un elemento fondamentale per il progresso della società umane e lo sviluppo tecnologico, nonostante alcune voci abbiano denunciato da tempo e invano i pericoli di una crescita senza limiti.

Di fronte al continuo aggravarsi della crisi climatica-ambientale, con distruzione degli habitat naturali ed enormi effetti collaterali in ambito sociale e psicologico, diversi studiosi hanno iniziato a mettere in discussione il paradigma dominante, proponendo al contrario la decrescita. Questa importante teoria che è anche al centro del libro Che cosa è la decrescita oggi di Giorgos Kallis, Susan Paulson, Giacomo D’Alisa e Federico Demaria, pubblicato da Edizioni Ambiente.

Nell’opera vengono illustrati i concetti principali, sfatando una serie di miti e tesi negative spesso esposte dai sostenitori del modello dominante. «Le idee e le pratiche della decrescita cercano di influenzare la storia da due punti di vista inseparabili: fermare la crescita dei consumi materiali e delle transazioni commerciali; dare forma a istituzioni, relazioni e identità personali che permettano di vivere bene senza crescita. La decrescita auspica un rallentamento gestito in modo da ridurre al minimo i danni a umani e non umani».

La necessità di un cambio di rotta nasce dagli spaventosi costi dell’espansione del modello industriale-tecnologico e dalla paura di un suo violento collasso. Con il continuo perseguimento della crescita eterna senza limiti «l’economia globale si espanderà di 11 volte entro la fine di questo secolo. […] Con un’economia globale che estrae già 92 miliardi di tonnellate di materiali ogni anno».

Una pressione insostenibile che potrebbe minare definitivamente la stabilità della società, senza contare che la crescita materiale non va a beneficio di tutti gli esseri umani ma privilegia principalmente una minoranza, generando diseguaglianze e discriminazioni intollerabili.

Per funzionare la teoria della decrescita dovrebbe esplicarsi in 5 precisi punti: «il Green New Deal senza crescita, il reddito di cura e i servizi universali; la promozione dei beni comuni e delle gestioni comunitarie; la riduzione dell’orario lavorativo; un sistema di finanza pubblica a supporto delle prime quattro misure».

Ottenere questa inversione a livello planetario non sarà affatto semplice e anche se la speranza è alimentata da esempi come quello della Nuova Zelanda, che ha promesso di dare priorità al benessere sociale rispetto alla crescita del Pil, per il momento si tratta di cambiamenti limitati, che coinvolgono piccole aree senza intaccare il nucleo dei centri di potere globali.

Gli autori del volume si rendono conto delle difficoltà poste dall’attuazione di una tale rivoluzione, sostenendo che «sarà difficile per chi si mobilita per la decrescita, farsi strada nella politica elettorale, scendere a compromessi con le spinte per il dominio geopolitico e sopportare violente ripercussioni e autoritarismo reazionario».

La soluzione suggerita per far fronte alle possibili ostilità è rappresentata dalle alleanze con più soggetti su scala internazionale ma visto lo scenario attuale e le crisi in aumento viene da chiedersi se ci sarà spazio per implementare queste teorie nel giro di uno o due decenni, o bisognerà aspettare diverse generazioni e magari eventi traumatici epocali.

Infine sorge spontaneo domandarsi se il rischio non sia il verificarsi di una violenta reazione di rigetto da parte di coloro che occupano i posti apicali e la cui ricchezza deriva proprio dal sistema dominante, e che per questo hanno tutto l’interesse ad alimentare l’illusione della crescita infinita in un pianeta finito, come purtroppo è stato dimostrato recentemente alla Cop27.

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