Ambiente

Cortina si scioglie, i prezzi si alzano

Negli ultimi 120 anni, la temperatura alpina ha registrato +2° secondo la World Meteorological Organization. Se la neve diminuisce, crescono i costi di alberghi e skipass (fino a 74 euro giornalieri con Dolomiti Superski)
Credit: Claudio Carrozzo/unsplash

Il mese scorso la World Meteorological Organization ha pubblicato il report Stato dei servizi climatici 2022. La notizia è stata ripresa con interesse in Italia a causa del fatto che questa ricerca presenta, tra gli altri, uno studio incentrato sul cambiamento climatico nella zona delle Dolomiti. In particolare viene menzionata “La combinazione di alti rischi per il turismo estivo con rischi medio-alti per sia le distribuzione di elettricità si per lo sport invernale”, rilevata nell’area di Cortina d’Ampezzo.

I numeri, come ci si può aspettare, non sono rassicuranti: nella regione alpina la temperatura si è alzata di 2 gradi negli ultimi 120 anni, a velocità doppia rispetto alla media globale; viene stimato per il periodo 2036–2065 un aumento del rischio climatico diretto del 6.2% e di quello indiretto del 10.2% per eventi di neve bagnata. C’è però bisogno di un’analisi più dettagliata per interpretare questi numeri.

Per capire perché e come si è arrivati a questi risultati, vengono in aiuto le piccole note nel report che rimandano ad altre ricerche. Per capire invece quali sono le esperienze passate del suolo di Cortina per quel che riguarda i cambiamenti climatici, ci si può affidare a uno studio del 2003 di 3 ricercatori - Mauro Soldati, Alessandro Corsini (Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia) e Alessandro Pasuto (Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica) - Landslides and climate change in the Italian Dolomites since the Late glacial. Ma prima, qualche definizione chiave.

Un’introduzione al rischio

Il rischio può esser inteso come il prodotto tra la probabilità che un certo evento si presenti e le conseguenze che lo steso evento può avere. In questo senso si può parlare di “event risk”, ovvero la probabilità dell’avvenimento di un certo evento associato a esiti negativi, o di “outcome risk”, la probabilità che ci si debba confrontare con degli esisti negativi. Quest’ultimo tipo è legato al primo e dipende dalla vulnerabilità del contesto esposto.

Nel campo climatico il rischio è connesso ai “trigger”, ovvero momenti o eventi che danno il via a un concatenamento di altri fenomeni, e alle caratteristiche del luogo su cui si pone il focus.

Quale metodo è valido?

La sfida che si deve affrontare è quella dell’incertezza sull’evoluzione dei pericoli legati al cambiamento climatico. Ci sono 3 fattori in particolare che confluiscono a creare questa situazione: incertezza interna, incertezza del modello e incertezza dello scenario.

La prima si riferisce alle naturali fluttuazioni che avvengono in assenza di elementi esterni. La seconda evidenzia il fatto che si possono ottenere risultati diversi a seconda del modello utilizzato. La terza è l’incertezza degli scenari futuri che possono non sembrare significanti ora o che non possono essere previsti. Il lavoro di studio e ricerca può solo migliorare nei primi due aspetti.

A questo si lega la questione di come interpretare un gruppo di modelli climatici usati per le proiezioni. Si può dire che ogni modello è un approssimazione della “verità” che presenta qualche errore - nello studio On the interpretation of constrained climate model ensembles, Benjamin M. Sanderson e Reto Knutti definiscono questo il sistema “truth plus error”- o che la verità è il risultato di una distribuzione di modelli che rende il singolo modello statisticamente indistinguibile dagli altri. Il primo produce meno incertezza poiché si considerano più modelli, sulla base del principio statistico per il quale l’incertezza della media diminuisce all’aumentare del numero di casi sui quale si calcola la media stessa.

Per quel che riguarda lo stabilire i rischi del cambiamento climatico Robert L. Wilby e Sure Desse (in Robust adaptation to climate change) individuano 2 approcci: “top-down”, che riporta le proiezioni climatiche a scenari di emissioni di gas responsabili per l’effetto serra; “bottom-up”, che si focalizza sulla riduzione della vulnerabilità alla variabilità climatica passata e presente e fa partire l’analisi da fattori e condizioni che hanno fatto sì che alcuni individui o comunità siano riusciti a affrontare difficoltà legate al cambiato climatico.

Entrambi questi metodi convenzionali non possono però tornare utili nello studiare rischi legati a eventi che non rientrano nell’esperienza recente.

Cosa si sta calcolando?

Non è stato facile finora conciliare definizioni e concettualizzazioni diverse per vulnerabilità e identificazione del rischio. L’approccio sul quale la World Meteorological Organization ha fatto affidamento nel suo report è detto SERRA ed è stato sviluppato dal progetto Kulturisk dell’Unione europea.

3 sono i principali aspetti d’innovazione: viene inclusa nel metro di misura la capacità sociale di adattamento e di riduzione dei rischi, mira ad andare oltre i costi diretti e tangibili, viole proporre soluzioni operative per supportare decisioni per fronteggiare e minimizzare i rischi. Insieme queste novità permettono agli autori di concludere che ci si può aspettare che il loro modello offra “una base operativa per un’interazione multidisciplinare, un punto di riferimento flessibile per confrontarsi con le specificità del singolo caso e un mezzo per aiutare lo sviluppo di modelli alternativi per prevenire il rischio tenendo in considerazione dimensioni sociali e culturali”. Ma andiamo con ordine.

Vulnerabilità in questo ambito viene definita come la propensione di elementi esposti a venir negativamente colpiti da eventi rischiosi e si presenta in 2 dimensioni: quella fisica viene ricondotta al termine suscettibilità, la probabilità che i recettori possano potenzialmente venire danneggiati da qualsiasi rischio dati i loro fattori strutturali, la tipologia di terreno e le caratteristiche. L’altra dimensione è quella umana, che a sua volta può essere ex-ante o ex-post. La prima è legata alla capacità di adattamento, la combinazione di forze, attributi e risorse disponibili all’individuo, comunità, società e organizzazione che possono essere utilizzati per agire e ridurre impatti avversi, moderare i danni o aiutare opportunità favorevoli. La seconda è la capacità di resistenza e reazione: l’abilità di persone, organizzazioni e sistemi, facendo uso delle competenze, risorse e opportunità di cui si dispone, di far fronte e superare condizioni avverse.

Per andare oltre i costi diretti e tangibili bisogna prestare attenzione ai danni alle parsone, alle attività economiche, ai sistemi (semi)naturali, al patrimonio culturale e ai costi emergenziali.

Infine, per poter giungere a delle soluzioni, i costi delle misure da implementare vengono messi a paragone in termini monetari con i benefici legati dalla riduzione dei rischi. Questo si chiama tecnicamente “economic appraisal”.

In aggiunta, il fattore E- esposizione: un indice monetario disaggregato; disaggregato perché dipendente da diversi recettori e perché espresso in diverse unità (euro ma, per esempio, anche a livello di ecosistema danneggiato e vite a rischio).

Quali sono le caratteristiche di Cortina?

Le montagne dolomitiche che circondano Cortina si formarono tra il Meso-Triassico e Giurassico per la sensibilità tettonica dell’area, caratterizzata da pieghe di estensione regionale o locale e faglie di diversi tipi. La somma di pressioni tettoniche più e meno antiche ha causato lo smembramento del terreno roccioso rendendolo più debole e suscettibile all’erosione.

Le prime frane rocciose a Cortina vengono datate tra il 13.000 e il 10.000 a.C, alla fine dell’ultimo minimo glaciale, periodo in cui i ghiacciai si ritirarono. La prima frana in assoluto documentata ha interessato la zona di Cadin, ma i 3 principali hot-spot, a oggi dormienti, sono Col Drusciè, Pierosà e Zuel. Questi eventi sono ascrivibili al periodo sub-boreale, durante il quale le precipitazioni aumentarono.

Cosa cambia nella gestione economica degli impianti?

In assenza di neve naturale si fa affidamento sulla neve artificiale. Il costo dell’innevamento di 1 km di pista può raggiungere i 40-50.000 euro a stagione.

In realtà, però, bisogna considerare che il vero costo del cambiamento climatico si vede nel momento in cui le temperature troppo alte non permettono di produrre neve artificiale. Se, infatti, non si ha la cosiddetta “temperatura di bulbo umido”, che mette in relazione la temperatura con l’umidità dell’aria, non è possibile procedere con l’innevamento.

In questo caso, non ha senso guardare ai costi di questo processo, poiché verrebbero del tutto cancellati. Le piste non innevate, piuttosto, sono causa di una perdita di incassi per tutti i servizi che dipendono dall’affluenza turistica sulle piste da sci.

Ci sono 3 dati molto interessanti: primo, l’innevamento è stato fondamentale in 15 stagioni invernali su 27 (il tempo preso in considerazione va dall’inverno 1995/1996 all’inverno 2021/2022); secondo, il volume d’acqua necessario per l’innevamento dei consorzi di Cortina, Arabba-Marmolada, Civetta e Falcade genera un fatturato medio diretto dei consorzi skipass di 64,9 milioni di euro e un fatturato indotto nell’economia turistica locale di 445,8 milioni di euro, per un valore totale di 510,6 milioni; terzo, il report internazionale sul turismo di montagna del 2021 segnala come “solo le brutte condizioni di tempo e neve nell’inverno 2006/2007 hanno causato un declino nel numero di turisti che si avvicini a quello dovuto alla pandemia di Covid-19”.

Ma facciamo un po’ di conti. I costi dello sci sono notevolmente aumentati. Il prezzo delle tessere giornaliere, pluri-giornaliere o stagionali è aumentato in media del 10%. Più nello specifico, Dolomiti Superski, un consorzio che si occupa della gestione degli impianti anche di Cortina d’Ampezzo, ha aumento il suo giornaliero da 67 euro a 74 e lo stagionale da 870 a 890 euro, se acquistato fino al 24 dicembre, data oltre la quale lo skipass costerà 950 euro. Per passare 7 notti a Cortina in camera doppia si può spendere un minimo di 2.200 a un massimo di 14.170.

Con il numero di sciatori in aumento - il report internazionale sul turismo di montagna del 2021 parla di 135 milioni di sciatori, il 43% dei quali frequenta le alpi - emergono problemi di traffico, parcheggio e affollamento per usufruire degli impianti. Visto che questi aspetti rendono l’esperienza sciistica meno piacevole e visto che il sovraffollamento non gioca a favore della questione ambientale, in risposta si alzano i prezzi.

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