Ambiente

Lotta alla crisi climatica? I ricchi preferiscono le armi

Usa, Cina, Russia spendono 30 volte di più in difesa e guerre che in fondi contro il surriscaldamento, dice un report del Transnational Institute. Intanto, aumentano le emissioni del comparto militare
Credit: Pixabay
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18 novembre 2022 Aggiornato alle 17:00

Più soldi destinati ad armi e guerre anziché alla battaglia contro la crisi climatica che sta sconvolgendo il Pianeta. In questi giorni in cui in Egitto a Cop27 si discute sul futuro del mondo - con al centro la partita del loss and damage, le perdite e danni causate da emissioni e disastri climatici per cui i Paesi poveri chiedono ai più abbienti di essere risarciti - risulta interessante scoprire, secondo un nuovo rapporto del Transnational Institute (Tni), come gli stati più ricchi del Pianeta (e responsabili della maggior parte delle emissioni) spendano a oggi più soldi in forze armate che per finanziamenti climatici. Stanno spendendo di fatto 30 volte di più per armi e difesa che per fornire denaro ai Paesi vulnerabili.

Girando all’interno dei padiglioni di Cop27, nonostante i doverosi fondi destinati per esempio al sostegno dell’Ucraina dopo l’invasione russa, il concetto che miliardi di dollari finissero direttamente in aiuti agli ucraini (ma non, per esempio, ad altri stati oggi impegnati in altre guerre o schiacciati da super potenze) aleggiava spesso, sollevando dubbi fra la distribuzione equa di aiuti e risorse.

Come noto, da tempo ci si attende che gli Stati responsabili delle emissioni (dagli Usa alla Cina, dalla Russia a quelli dell’Ue) si impegnino in maniera concreta per finanziare con almeno 100 miliardi di dollari l’anno i Paesi più colpiti dall’emergenza climatica. Questo sta avvenendo solo in parte, mentre sulla questione loss and damage sono ancora pochissime le nazioni che si sono sbilanciate su fondi concreti.

Nel frattempo, però, si continuano a spendere soldi per armi e difesa, raggiungendo proporzioni che curiosamente - sottolinea il Tni - sono quelle che servirebbero come contributo alla battaglia contro il surriscaldamento. Per esempio, annotando che la traiettoria della spesa militare e delle emissioni di gas serra segue la stessa ripida curva ascendente, “la spesa militare globale è cresciuta dalla fine degli anni ‘90, aumentando dal 2014 e raggiungendo la cifra record di 2.000 miliardi di dollari nel 2021”.

Migliaia di miliardi di dollari (si dovrebbe infatti parlare di trilioni ormai e non più dei 100 miliardi di finanziamenti) che servirebbero per il clima: “Ogni dollaro speso per le forze armate non solo aumenta le emissioni di gas serra (GHG), ma distoglie anche risorse finanziarie, competenze e attenzione dall’affrontare una delle più grandi minacce esistenziali che l’umanità abbia mai sperimentato” scrivono da Tni.

Si spende in guerra senza problemi, “eppure gli stessi Paesi maggiormente responsabili delle grandi spese militari non sono in grado di trovare nemmeno una frazione delle risorse o dell’impegno per affrontare il riscaldamento globale” annotano ancora dall’istituto.

Tra i dati della ricerca emerge poi che 7 dei primi 10 emettitori storici sono anche tra i primi dieci “spendaccioni militari globali”: al primo posto gli Stati Uniti seguiti da Cina, Russia, Regno Unito, Francia, Giappone e Germania. Ma anche Arabia Saudita, India e Corea del Sud spendono parecchio.

Inoltre, va ricordato che il comparto militare inquina: un rapporto del 2020 della cooperativa Tipping Point North South ha stimato infatti che l’ impronta di carbonio delle forze armate globali e delle industrie di armi associate era di circa il 5% delle emissioni globali totali di gas serra (nel 2017), mentre per dare un’idea le emissioni di tutto il settore dell’aviazione civile era pari al 2% delle emissioni globali di gas serra. Lo stesso vale se volessimo immaginare eserciti e difese del Pianeta come un unico stato: a livello di consumi di carburanti sarebbero il 29° maggior consumatore mondiale di petrolio al mondo.

Valori che portano il Transnational Institute - nel suo report Climate Collateral - a chiedere di porre maggiore attenzione sul tema del rapporto fra spese militari-inquinamento-crisi climatica, anche durante le Conferenze delle parti sul clima come quella in corso a Sharm El-Sheikh (e che il prossimo anno si svolgerà negli Emirati del petrolio).

Mentre ricordano infatti che “i Paesi più ricchi stanno esportando armi verso i Paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico, alimentando conflitti e guerre in mezzo al collasso” chiosano sulla necessità che per “affrontare la più grande minaccia alla sicurezza umana, l’emergenza climatica, abbiamo bisogno che tutti i Paesi - membri della Nato e membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite - lavorino insieme per dare priorità al clima rispetto al militarismo. Non esiste nazione sicura senza un Pianeta sicuro dal punto di vista climatico”.

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