Ambiente

Bisogna riformare gli istituti finanziari

Per molti Paesi l’accesso al credito della finanza climatica è complicato. Ecco quindi che entrano in scena le multilateral develpment bank: cosa sono?
Credit: Monstera/pexels
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18 novembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Qual è il prezzo per fermare la nostra folle corsa sull’autostrada per l’inferno climatico? Da vari colloqui con esperti di finanza climatica qui a Cop27, si stima che gli Stati ricchi e le banche di sviluppo dovrebbero aumentare i finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo per l’azione per il clima, raggiungendo la cifra di 1.000 miliardi di dollari all’anno a partire dal 2025. Ma la somma complessiva potrebbe assestarsi addirittura intorno ai 5.000 miliardi per il 2030.

Fondi per la mitigazione che ridurranno rapidamente le emissioni di gas serra e, quindi, i soldi necessari per adattarci ai cambiamenti climatici, i quali - se ben spesi - metteranno al sicuro infrastrutture, servizi e persone, riducendo così i soldi necessari per compensare danni e perdite legati ai disastri climatici. La logica è chiara: chi più spende, meno spende. In altre parole, se investiamo tanto e subito in rinnovabili, efficientamento energetico e economia circolare, sostenendo anche i Paesi meno sviluppati e maggiormente indebitati, ridurremo l’esborso per creare infrastrutture per contenere inondazioni, gravi siccità (come quella italiana di quest’anno), l’innalzamento del mare (il Mose veneziano, per esempio), che a sua volta ridurrà i soldi dei meccanismi Onu di Loss&Damage e, in generale, i premi assicurativi necessari per compensare cittadini e cittadine di tutto il mondo che vedranno la propria casa spazzata via da piogge torrenziali o culture distrutte dalla siccità o altri fenomeni correlati alla crisi climatica e a quella della biodiversità.

Dove trovare dunque tutte le risorse necessarie per preservare la sicurezza globale e nazionale, tenere la nostra economia in piedi, proteggere il paesaggio e la cultura italiana? Sebbene molti Paesi industrializzati si siano impegnati ad allocare importanti risorse pubbliche - dagli oltre 300 miliardi di Next Generation EU per il nostro continente ai 100 miliardi di dollari l’anno stabiliti dall’Accordo di Parigi per i Paesi meno sviluppati (attualmente fermi a circa 80 miliardi), passando per i 370 miliardi del Inflation Reduction Act americano - serve ripensare il sistema finanziario internazionale. Questo sarà uno dei più importanti risultati del negoziato di Cop27, a Sharm-el-Sheikh, se quanto apparso sulla bozza di decisione finale rimarrà nel testo che sarà approvato nel corso della notte di venerdì. Il mandato per un accordo di successo è arrivato dall’incontro del G20 di Bali.

Il tema è stato ampliamente discusso qui a Cop: per molti Paesi l’accesso al credito della finanza climatica rimane complicato, visto che molti Stati sono indebitati o in default; i temi di esborso sono lenti e spesso servono tempi di ritorno del prestito molto lunghi. I Paesi industrializzati non possono indebitarsi oltremodo per sostenere la decarbonizzazione globale. Al centro dell’attenzione ci sono le Banche Multilaterali di Sviluppo, note con l’acronimo inglese MDBs (multilateral develpment bank), ovvero quelle istituzioni sovranazionali nate a partire dagli accordi di Bretton Woods, create dagli Stati sovrani che ne sono azionisti per favorire la lotta alla povertà e la ricostruzione, ma che oggi dovrebbero avere un doppio obiettivo, sociale e ambientale.

Parliamo innanzitutto della Banca Mondiale, fondata il 27 dicembre 1945 per la ricostruzione post seconda guerra mondiale e oggi guidata dal clima-negazionista David Malpass, criticato per le sue posizioni dalla stessa Casa Bianca, e considerato da tanti un ostacolo per riformare la Banca Mondiale come attore chiave per la finanza climatica. Malpass deve dimettersi entro il prossimo consiglio di amministrazione atteso in aprile. Ma non basta: da Sharm-el-Sheik arrivano chiare richieste di riforma totale dell’istituzione, incluse le sorelle regionali come la Asian Development Bank, la European Investment Bank ma anche il Fondo Monetario Internazionale. È tempo di cambiare le MDBs.

Nella bozza di testo finale di Cop27 si legge: “Si sottolinea che le MDB dovranno fornire una quota significativa di risorse finanziarie, migliorare il loro potenziale di leva finanziaria dei finanziamenti privati, impiegare la gamma di strumenti dalle sovvenzioni alle garanzie e agli strumenti non di debito e risolvere la limitata propensione al rischio e capitalizzazione ridotta, triplicando i finanziamenti per il clima almeno fino al 2025”.

Un risultato importante per il negoziato che, se rimanesse nel documento finale, sarebbe un’indicazione importantissima che spingerebbe gli istituti a una importante revisione e modernizzazione degli equilibri e degli indirizzi. Una decisione irreversibile, poiché sarebbe impossibile negare una decisione multilaterale proveniente da 196 Paesi, su mandato del G20 per altro. Con la riforma delle MDBs si potrebbe risolvere l’avversione al rischio negli investimenti nei Paesi in via di sviluppo, dando la priorità al sostegno tramite sovvenzioni, riducendo drasticamente il costo e le condizioni del prestito di denaro che pone il sostegno multilaterale fuori dalla portata della maggioranza della popolazione mondiale.

Verso il Fondo Monetario Internazionale invece c’è la richiesta di aumentare l’emissione di diritti speciali di prelievo (special drawing rights, SDR), una pseudo-valuta di riserva internazionale creata dal FMI per integrare le riserve ufficiali dei Paesi membri, in particolare verso l’Africa e gli Stati meno sviluppati, impiegando banche di sviluppo. Questi SDR potrebbero essere usati per un nuovo fondo “Climate Mitigation Trust” del valore di 500 miliardi di euro che potrebbe fungere da leva per circa 5.000 miliardi in finanza privata. Non solo: lo strumento potrebbe accelerare anche strategie di riconversione del debito e fomentare gli investimenti privati degli istituti finanziari internazionali

Infatti questo tipo di prestiti servono a dare sicurezza al mondo della finanza privata che può cosi avere un livello rischio più controllabile su investimenti in Paesi noti per la complessità di intervento.

Sono passati 77 anni da Bretton Woods e 30 anni dai disastri dei piani di aggiustamento strutturali del FMI. Oggi il mondo finanziario internazionale deve essere pronto per una riforma senza precedenti. A guidarla potrebbe essere lo stesso Mario Draghi, che durante la presidenza italiana del G20 aveva riflettuto più volte su un riformismo della finanza multilaterale. Se questo accadrà qui a Cop27 sarà una grande vittoria per l’Africa, i Paesi emergenti e tutti i membri delle Nazioni Unite. Speriamo che l’Italia spinga al massimo con l’Europa in questa direzione.

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