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Che cosa significa Nimby?

”Not in my backyard”: chi sono e cosa fanno le comunità locali che si oppongono alla costruzione di opere o infrastrutture di interesse pubblico nel loro territorio
Credit: ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO

La paura dell’ignoto e di quello che non si conosce è da sempre un cruccio per alcuni di noi, che ha spinto spesso negli anni a fare molti passi indietro, a discapito dell’evoluzione e del progresso in molti campi. Questo avviene soprattutto nella società di oggi così esposta a continui cambiamenti di varia natura, che non sempre trovano consenso unanime nel pensiero popolare. Esempi eclatanti sono legati alla costruzione di impianti industriali anche se di utilità pubblica, come quelli per l’utilizzo di fonti rinnovabili o di trattamento rifiuti o di produzione di biometano.

L’argomento è molto caldo ora che questo tipo di strutture sarebbero invece fondamentali per sostituire la produzione di energia da fonti fossili a quelle rinnovabili, o chiudere in maniera sicura il ciclo dei rifiuti che parte dalla raccolta differenziata. Quello che servirebbe al nostro Paese a esempio per rendersi indipendente energeticamente, alla luce proprio di tutto quello che sta accadendo dal conflitto russo-ucraino. La transizione energetica in atto, accelerata dalle recenti vicende europee, richiede quindi molta più diffusione sul territorio.

Proprio adesso che questo bisogno di transizione ecologica e di rinnovabili è sempre più impellente ed evidente il dibattito si accende tra chi sposa questa innovazione e chi invece ha più paura delle conseguenze che si potranno avere. a essere contrari e a fare ostruzionismo su questo sviluppo sono sicuramente i comitati Nimby, ma cosa sono e come si sono sviluppati?

Nimby: cos’è

Il fenomeno Nimby negli ultimi tempi si è sempre più diffuso soprattutto nei territori più sviluppati o in via di sviluppo. Il termine deriva dall’inglese Not In My Back Yard, “non nel mio cortile sul retro” rappresenta cioè l’opposizione da parte della comunità locali e di associazioni, comitati e rappresentanze politiche di un preciso contesto, a ospitare temporaneamente o permanentemente sul proprio territorio opere o infrastrutture di interesse pubblico dall’impatto rilevante.

Tra i maggiori esempi in questo senso abbiamo grandi vie di comunicazione, cave, termovalorizzatori, discariche, depositi di sostanze pericolose, centrali elettriche e strutture simili. L’esempio più ricorrente è quello delle discariche, che per adesso servono, ma nessuno vuole vicino alla propria abitazione. L’opposizione dei comitati Nimby è motivata dal timore di effetti negativi per l’ambiente, di rischi per la salute o sicurezza degli abitanti o di una riduzione dello status del territorio.

Nimby, la storia: cosa fanno e perché

L’espressione Nimby risale agli anni ‘80 e viene attribuita da molti a W. Rodger dell’American Nuclear Society, probabilmente con un’accezione dispregiativa. La fonte scritta più datata, lo riporta però come un termine gergale utilizzato dai manager delle aziende di gestione dei rifiuti, che dalla fine degli anni settanta, si adoperano con grande fatica per realizzare vari tipi di facility, come discariche per rifiuti tossici industriali.

Per primo si diffonde nel Regno Unito sempre negli anni ‘80, grazie al ministro dell’ambiente britannico Nicholas Ridley che lo utilizzò per appellare quei gruppi di protesta mobilitati contro l’espansione residenziale nelle campagne britanniche, permessa dallo stesso ministro.

Il fenomeno Nimby negli anni si è manifestato non solo per questioni che in cui era facile sollevare polveroni, come infrastrutture più grandi e invasive che spaccano l’opinione pubblica, come una discarica, la linea TAV Torino-Lione o il gasdotto TAP pugliese, ma anche per opere e infrastrutture di cui erano riconosciuti il valore e l’utilità sociale e ambientale. Un parco pubblico, a esempio, o una pista ciclabile, un impianto di energia rinnovabile, ospedali o scuole. La motivazione va ricercata in questo caso nella possibilità di cambiare la struttura dei territori che sono di interesse per questi gruppi.

Negli anni l’effetto Nimby è sfociato in molti casi in proteste o manifestazioni pacifiche, oppure in altri episodi che hanno scatenato scontri, portato al boicottaggio o al blocco dei cantieri. In alcune situazioni ci sono stati anche cittadini che hanno intentato cause legali contro chi stava realizzando l’opera o l’infrastruttura contestata. L’argomento è sicuramente spinoso e le proteste a volte sono sostenute e suffragate da analisi e dati scientifici, per cui bisognerebbe valutare caso per caso.

Cosa rappresentano i nimby?

Se quella che è chiamata sindrome Nimby colpisse ogni abitante della Terra diventerebbe di fatto impossibile prendere provvedimenti indispensabili all’evoluzione della comunità. Tra le ipotesi che si possono fare e che possono rappresentare le cause di questi comportamenti c’è sicuramente mancanza di informazione ai cittadini, in disaccordo con la direttiva comunitaria 2001/42/CE che invita gli amministratori a consultarli e ragguagliarli preventivamente nel caso di interventi a grande impatto ambientale.

Secondo alcuni dati del Nimby forum, un Osservatorio attivo dal 2004 con l’obiettivo di analizzare l’andamento della sindrome Nimby, la maggior parte dei progetti contestati riguarda il settore energetico, quindi di energia da fonti rinnovabili, in particolare biomasse, compostaggio e parchi eolici), poi nel settore legato al ciclo di trattamento dei rifiuti. Nelle proteste l’impatto ambientale non rappresenta però la principale ragione alla base delle contestazioni: al primo posto, infatti, l’Osservatorio Nimby inserisce le preoccupazioni per la qualità della vita, a seguire le opposizioni per carenze procedurali e di coinvolgimento e i timori per la salute pubblica.

Il dibattito tra favorevoli e oppositori agli impianti, che in larga percentuale ormai si svolge in rete, è complicato dalle modalità con cui avviene sui social media per la mancanza proprio di informazione. Esiste anche una degenerazione estrema della sindrome Nimby e in questo caso si utilizza l’acronimo Banana che sta per Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything, letteralmente “non costruire assolutamente nulla in alcun luogo vicino a qualsiasi cosa”.

Nimby vs Pimby

Come reazione al fenomeno Nimby è stato coniato, sempre nei paesi anglosassoni l’acronimo Pimby in inglese Please In My Back Yard, “Prego nel mio cortile”, che indica quei casi in cui una comunità richiede invece l’installazione sul suo territorio di opere di interesse pubblico. Prendendo come esempi le Olimpiadi o i Campionati del Mondo, le Esposizioni Universali, grandi centri di studio e ricerca, o sedi di aziende prestigiose che portano lavoro e possono risolvere problemi occupazionali. Di solito però i sostenitori di interventi come questi sono meno “rumorosi” dei contestatori: chi si oppone a un’opera, cioè, tende ad attivarsi e a organizzarsi maggiormente.

Quali sono i principali Nimby in Italia e all’estero

Oggi i più famosi fenomeni Nimby in Italia contrari alle grandi opere sono i No Tav, i No Tap, i No Expo, i No Triv, i No Mose e i più recenti i No stadio di Milano, No all’inceneritore di Roma e anche i No al rigassificatore di Piombino. In quest’ultima e recente vicenda alcuni abitanti ed enti locali contestano la scelta del Governo di collocare a Piombino, nella banchina del porto, un rigassificatore galleggiante. Le proteste sono soprattutto verso il mancato coinvolgimento nella decisione, di non aver potuto scegliere su una faccenda importante per la sicurezza della città.

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