Economia

Disagio occupazionale? In Italia è la regola

22 occupati su 100 non sono soddisfatti della tipologia di contratto di lavoro. Il problema è soprattutto femminile
Credit: Tim Gouw
Tempo di lettura 4 min lettura
7 ottobre 2022 Aggiornato alle 07:00

Partiamo con l’identificare chi sono i lavoratori a cui ha fatto riferimento l’analisi svolta dall’Area del disagio occupazionale, l’Ado.

Le persone identificate come in “difficoltà” sono sia coloro che momentaneamente ricoprono un ruolo da lavoratore dipendente a termine e che desidererebbero avere un contratto stabile e permanente, che lavoratori a tempo parziale che vorrebbero avere un impiego a tempo pieno.

Per quanto riguarda il target d’età, l’Ado ha svolto le indagini su persone d’età comprese tra i 15 e i 47 anni.

Di questi, si contano 4.872.000 persone per i quali l’indice di disagio è del 21,7% dal quale si può concludere che circa 22 occupati su 100 non sono effettivamente soddisfatti della tipologia di contratto di lavoro che ricoprono dal punto di vista temporale.

Ma tra donne e uomini chi è meno soddisfatto?

Secondo i dati dell’analisi, questa situazione è maggiormente gravosa per le donne, fino al 28,4% in confronto al 16,8% degli uomini, soprattutto per quanto riguarda i giovani con età comprese tra i 15 e i 24 anni, che raggiungono il 61,7% delle persone entranti nel mercato del lavoro.

A oggi, è in forte crescita l’area di disagio che accresce sempre più l’ambito di lavoro povero.

Se la causa originaria è correlata alla condizione temporale, concordata con il datore di lavoro a contratto, significa che sono sempre più le persone che lavorano in modalità part-time involontario, occupate ma temporaneamente sospese per un periodo pari o minore a tre mesi. Infine, rientrano lavoratori con contratto a tempo determinato involontario. Facendo riferimento alla precarietà lavorativa, in Italia, i ricercatori della fondazione hanno messo in risalto in particolare due elementi.

Il primo si ricollega al fatto che l’apice numerico di occupati in Italia, di 23 milioni di lavoratori, è stato superato nel 2008, dal mese di gennaio ad agosto; successivamente da marzo 2019 a febbraio 2022 e infine da marzo 2022 a luglio di quest’anno.

Rispettivamente, i due numeri di picco massimo sono di: 23,1 milioni ad aprile 2008 e 23,2 milioni a giungo 2019, con i due tassi di precarietà rispettivamente del 13,8% e del 17,0%.

E la situazione attuale?

Gli ultimi numeri registrati a luglio 2022 parlano di 23,2 milioni di lavoratori occupati per un tasso occupazionale di 60,3%, in crescita di 1,4 punti in confronto a quanto registrato nell’anno 2020, precedentemente alla situazione pandemica per Covid-19.

Contestualizzato all’interno del contesto europeo, resta comunque un dato di 10 punti inferiore rispetto alla media degli altri Paesi e di addirittura 15 punti in meno rispetto alla Germania.

Attualmente, come identificato dalla ricerca Fdv e confermato dalla segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti, l’Italia è uno Stato in declino che ha urgentemente bisogno di investire fondi ai fini della crescita dell’occupazione e allo stesso tempo effettuare interventi di risanamento nel mercato del lavoro per incrementarne la qualità.

Occorrono nuove azioni di management e politiche industriali in grado di guidare correttamente la transizione economica e che puntino in particolare allo sviluppo di innovazioni digitali, a partire dagli enti pubblici e dallo Stato, che oggi più che mai deve operare con l’obiettivo di raggiungere la piena occupazione.

Possono contribuire al raggiungimento della situazione desiderata, micro obiettivi quali: la crescita dei salari, la rimodulazione degli orari di lavoro e soprattutto azioni decise, finalizzate a ristabilire un buon sistema regolamentare del lavoro.

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