Greta Thunberg: «Errore chiudere le centrali nucleari attive per tornare al carbone»

Finalmente sono riuscito a vedere al cinema Nuclear, il tanto atteso documentario di Oliver Stone con cui il regista premio Oscar, già intervistato da La Svolta e da anni avvezzo al genere non-fiction con le interviste a Putin e la ricostruzione del caso JFK, partendo dalle tesi controverse ma del tutto realistiche del libro Bright future di Joshua Goldstein (che svolge anche il ruolo di co-sceneggiatore) offre una via di mezzo tra un Ted Talk e un grande spot “pubblicità progresso” sull’energia nucleare.
Una questione sulla quale si è recentemente espressa anche Greta Thunberg: «Se le centrali nucleari sono in attività penso che sarebbe un errore chiuderle privilegiando il carbone», ha spiegato in un’intervista alla tv pubblica tedesca Ard (in onda questa sera), come critica al piano tedesco per la dismissione delle centrali nucleari ancora attive qualora comporti la riapertura di alcune centrali a carbone. Come ha sottolineato l’attivista, bisognerebbe dare priorità alle rinnovabili, invece che continuare a investire sull’energia fossile.
Ma tornando a Stone e alla sua opera, il concetto alla base del film, sin dalla citazione iniziale di Madame Curie (“Non c’è nulla da temere nella vita, ma solo da capire”), è che la paura, senza la conoscenza, frena il progresso umano. Inserendo ad arte uno spezzone del film Stand by me con la celebre scena del treno, Stone ci dice in sostanza che se non saremo in grado di fare il grande salto la paura rischia di portarci tutti dritti a schiantarci rovinosamente con le conseguenze inevitabili di un futuro neanche troppo lontano, la cui data di scadenza finale è fissata al 2050, punto di non ritorno entro il quale se non ridurremo interamente le emissioni di combustibili fossili noi e il nostro pianeta saremo polvere di stelle.
In 2 ore secche e con toni assertivi e anemici (sua la voce monocorde fuori campo), il 76enne newyorkese indossa la toga di Avvocato dell’Atomo e, avvalendosi di un paio di grafici piuttosto elementari, delle note new age di Vangelis e di sparute testimonianze di personaggi non ben identificati e senza particolari competenze, dichiara apoditticamente che il nucleare costituirebbe l’unica alternativa rapida, pulita, sicura ed economica rispetto ai combustibili fossili e alle fonti rinnovabili per frenare il processo inarrestabile del climate change, oltre che per rispondere al fabbisogno energetico dei Paesi emergenti quali Cina e India.
Per fare tutto questo Stone cerca innanzitutto di smontare una serie di miti sulla pericolosità intrinseca della reazione atomica, spiegando con toni che privilegiano la didattica rispetto all’estetica (che rimane comunque televisiva più che cinematografica) che l’uranio che genera la fissione nucleare è un tesoro naturalmente presente nell’universo sin dai suoi albori e che il nucleare è stato a torto ostracizzato solo a causa di paure irrazionali fomentate dalla lobby delle aziende petrolifere e dagli hippies.
Procede quindi a stigmatizzare i dati relativi ai disastri storici causati dall’impiego di questa risorsa: se da una parte le stragi di Hiroshima e Nagasaki sarebbero dovute a moventi esclusivamente bellici, dall’altra l’incidente di Chernobyl sarebbe stato dovuto a un errore umano e avrebbe causato solo una decina di morti mentre quello di Fukushima, provocato dallo tsunami, non avrebbe causato neanche un morto.
E alla fine, nel decretare che le energie rinnovabili non costituiscono una risorsa alternativa valida (perché necessitano di superfici estese e condizioni climatiche ottimali), fa la conta dei Paesi che hanno risposto o meno alla chiamata del nucleare e plaude con entusiasmo alle nuove iniziative di un gruppo di giovani imprenditori alle prese con microreattori modulari. Nessuna menzione invece per il nostro Paese dove, come noto, siamo fermi al referendum del lontano 1987 che ha decretato, insieme ai sopraggiunti limiti di età, la chiusura definitiva delle poche centrali presenti sul territorio.
Il film di Stone ha senz’altro 2 elementi centrali: il primo è quello di diffondere una tesi sulla scelta del nucleare come soluzione rispetto alle altre fonti energetiche; il secondo è la scelta di adottare per la prima volta un approccio ottimistico e di proporre un’immagine alternativa alle visioni negative e apocalittiche che da anni dominano il cinema, la tv e la letteratura. Peccato solo che, se spot deve essere, questo non sia uno spot migliore. A fronte delle tesi lapidarie e unilaterali di Stone, non vengono mai messe sul tavolo tesi contrarie, che avrebbero garantito il dialogo necessario per affrontare una tematica così complessa e per dare solidità alla posizione sostenuta. L’unico intervento minimamente interessante è paradossalmente quello di Isabelle Boemeke, una giovane influencer dell’energia nucleare che crea contenuti su TikTok per insegnare agli altri i miti e le possibilità che circondano questo argomento.
Infine bisogna segnalare che, per quanto vengano citati i disastri del passato, non si evidenzia quelli che potrebbero essere i rischi sociali globali del futuro. Si parla di morti, si parla di impieghi, ma non si fa mai riferimento all’uso minaccioso ed estorsivo che molte delle potenze militari fanno ancora di questa tecnologia. Se, da un lato, dunque, vengono messi in luce i possibili vantaggi in tema di sostenibilità ambientale ed economica, dall’altro non si tiene minimamente conto della pericolosità di questa risorsa se impiegata in ambito militare.
Ambiente e sostenibilità non sembrano andare a braccetto col buon senso governativo. E mai come in questi giorni, con l’escalation delle minacce di Putin al resto del mondo, il tema è così attuale.