Diritti

Afghanistan: continuano le proteste per il diritto allo studio, in un’atmosfera sempre più tesa

Dopo l’attentato di venerdì in un’aula studio di Kabul, in cui hanno perso la vita almeno 49 persone, perlopiù studentesse, i fondamentalisti islamici hanno soffocato con la violenza le ribellioni femminili
Una donna afghana con un burqa chiede l'elemosina presso la Moschea Blu, ritenuta da alcuni musulmani il luogo della tomba di Ali ibn Abi Talib, cugino e genero del Profeta Maometto, a Mazar i Sharif, nel nord dell'Afghanistan.
Una donna afghana con un burqa chiede l'elemosina presso la Moschea Blu, ritenuta da alcuni musulmani il luogo della tomba di Ali ibn Abi Talib, cugino e genero del Profeta Maometto, a Mazar i Sharif, nel nord dell'Afghanistan. Credit: EPA/SAYED MUSTAFA
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
3 ottobre 2022 Aggiornato alle 21:00

Picchiate, ferite, umiliate, disperse con lo spray al peperoncino. Non lascia spazio a equivoci il trattamento riservato alle donne afghane da parte dei talebani durante le proteste contro l’attacco che venerdì ha ucciso decine di studentesse: il dissenso va zittito, anche ricorrendo alla violenza.

Eppure, in Afghanistan, le donne non si arrendono. Venerdì 30 settembre, un attentatore suicida si è fatto esplodere nel centro di tutoraggio privato Kaaj Educational Center di Kabul, provocando la morte di almeno 49 persone, perlopiù studentesse Hazara tra i 18 e i 24 anni (anche se il ministero dell’Interno parla di 25 vittime), che stavano svolgendo dei test di preparazione agli esami di ammissione all’Università. La comunità Hazara è una minoranza composta principalmente da musulmani sciiti nell’Afghanistan a maggioranza sunnita.

L’agenzia di stampa Reuters riporta che, secondo un testimone, l’aggressore si sia volutamente diretto verso la parte della classe in cui le giovani donne sedevano separate dai loro coetanei maschi, provocando un alto numero di vittime femminili. «Se donne e ragazze vengono uccise per il semplice atto di voler sostenere un esame, significa solo che l’Afghanistan è diventato un luogo in cui non sono più al sicuro», ha twittato UN Women Afghanistan.

Il giorno dopo, le afghane hanno deciso di scendere in piazza. L’hashtag che circolava su Twitter “Stop Hazara Genocide” si è tramutato in un grido di dissenso poi soffocato dai talebani pochi minuti dopo l’inizio della manifestazione: le testimoni hanno parlato al Guardian di insulti, violenza fisica e colpi d’arma da fuoco. «Stavamo marciando insieme e invocando giustizia per le nostre sorelle Hazara che sono state uccise ieri. Questo è un genocidio degli Hazara e tutto ciò che vogliamo sono istruzione e libertà», ha detto al quotidiano britannico una testimone. Un’altra, ferita, ha detto che «i talebani non ci proteggeranno mai e non possono rappresentarci nella comunità internazionale. Ci hanno attaccato con il calcio delle loro pistole e ci hanno picchiato. Sto ancora soffrendo mentre parlo».

Nel fine settimana la rabbia si è intensificata: domenica mattina centinaia di donne hanno marciato dall’Università di Herat in nome del diritto all’istruzione e alla sicurezza per la comunità Hazara, che secondo le organizzazioni per i diritti umani subisce sempre più attacchi da parte della Provincia del Khorasan dello Stato Islamico, affiliata dello Stato Islamico in Afghanistan. L’attacco di venerdì ha infatti devastato la comunità Hazara nel distretto di Dasht-e-Barchi, luogo dell’attentato: qui le famiglie stanno ancora cercando di recuperare i resti delle loro figlie e continuano a chiedere giustizia.

Secondo l’agenzia di stampa Reuters, l’attacco di venerdì ha segnato una battuta d’arresto per le donne afghane in cerca di un’opportunità per far progredire la loro istruzione in mezzo a un regime che la limita fortemente. Molte delle vittime, come la diciannovenne Raihana, che sognava di fare il medico, erano studentesse a cui era stata negata l’opportunità di fruire di un’istruzione secondaria standard e che avevano dovuto rivolgersi a un centro privato. I centri come Kajj hanno fornito un’ancora di salvezza alle ragazze che desiderano approfondire la loro istruzione. Nella maggior parte delle province afghane, inclusa Kabul, le scuole secondarie femminili sono state chiuse da quando i talebani hanno preso il potere nell’agosto 2021. La promessa di riaprire tutte le scuole a marzo di quest’anno non è mai stata rispettata.

Leggi anche
Afghanistan
di Azzurra Rinaldi 4 min lettura
Afghanistan
di Annina Rautalahti 3 min lettura