Ambiente

Marche, la rabbia dei geologi dopo l’alluvione: «Basta alibi»

Mentre continuano le polemiche sui ritardi e inizia la fase di ricostruzione, gli scienziati insistono sulla necessità di preservare i territori
Credit: ANSA/VIGILI DEL FUOCO
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3 ottobre 2022 Aggiornato alle 09:00

Sono passate due settimane dalla terribile alluvione, legata a un temporale autorigenerante, che ha devastato le Marche e non si placano le polemiche.

Mentre continuano i rimbalzi di accuse fra regione ed ex funzionari di Protezione civile sulla mancata allerta, mentre si piangono le 12 vittime e si intensificano gli sforzi per le ricerche di Brunella Chiù, 56enne di Barbara (Ancona) ancora dispersa, è tempo anche di aumentare la comprensione di quanto esattamente accaduto in modo da evitare che si ripetano tragedie di questo tipo.

Le procure di Ancona e Urbino indagano, il consiglio regionale nel frattempo storna 21 milioni di euro per destinarli ai territori più colpiti con interventi sia a livello di pulizia e manutenzione dei fiumi, sia per sostenere aziende e famiglie.

Nel frattempo, purtroppo, si stanno verificando atti di sciacallaggio, con ladri che approfittando delle zone sommerse dal fango e le case abbandonate hanno rubato auto, bici, elettrodomestici e oggetti dalle case (tra cui persino una collezione di trenini).

In questo complesso contesto, prima che emergenze di questo tipo si ripetano, a lanciare uno degli appelli più importanti relativi alla necessità di prevenire e di affrontare in maniera differente i possibili impatti dell’emergenza climatica, sono i geologi dell’Università di Urbino e dell’Ordine delle Marche.

In questi giorni gli esperti sono andati a effettuare sopralluoghi nei territori dell’alta valle del fiume Burano a cavallo tra Umbria e Marche per cercare di rilevare i dettagli dei fenomeni di dissesto geo-idrologici connessi alle forti precipitazioni che hanno investito il territorio arrivando a sottolineare che gli alibi degli eventi “eccezionali” sono finiti e che è tempo di lavorare per prevenire i disastri.

«Le intense piogge hanno portato a numerosi problemi di natura idraulica e geologica movimentando depositi superficiali e legname. Questo materiale è stato poi preso in carico dai corsi d’acqua e trascinato nei fondivalle, innescando contestualmente innumerevoli eventi franosi in tutto il territorio, dalle sponde lambite dalle piene ai versanti dei pendii circostanti. Il tutto è avvenuto appunto nell’area a monte di Cantiano dove sono presenti rocce impermeabili che hanno bassa capacità di trattenere le piogge e dove il ruscellamento superficiale è di per sé già abbastanza intenso anche in presenza di estese coperture vegetazionali. Oltre a queste cause naturali, va considerato che gli eccezionali eventi meteo sono caduti su di un territorio dove è venuta a mancare una adeguata e costante manutenzione dei corsi d’acqua», sottolineano i geologi rimarcando l’assenza di interventi precedenti.

Il professor Stefano Morelli dell’Università di Urbino ha parlato a esempio di «sottovalutazione del problema idraulico per il resto dell’anno» ricordando che «la forza delle acque in questi contesti tende a voler ripristinate le condizioni morfo-dinamiche ordinarie contrastando, anche con conseguenze catastrofiche, le modifiche apportate dall’uomo nella propria pianificazione urbanistica, che in certe operazioni ingegneristiche tiene poco conto delle leggi fisiche che regolano il movimento di flussi incanalati».

Alle loro osservazioni si aggiungono poi le dure ma necessarie parole del presidente dell’Ordine dei Geologi delle Marche, Piero Farabollini che dopo aver letto i rapporti regionali sostiene che è «fuorviante parlare di zone che non venivano alluvionate dal fiume dall’epoca medioevale: oltre a non possedere i dati strumentali ufficiali, si sta spostando l’attenzione dal tema vero: la manutenzione continua, e non occasionale, del nostro territorio. La prevenzione è un argomento scomodo: non porta voti, richiede dedizione, pazienza, ricerca e grande attenzione per la quantità di denaro necessaria a completare opere che, oltretutto, potrebbero portare benefici ad anni di distanza».

Il punto, secondo Farabollini, è che la prevenzione «è l’unica strada che possiamo percorrere, per evitare che in futuro avvengano tragedie di queste dimensioni. Anziché sottolineare l’eccezionalità di eventi che, invece, il cambiamento climatico renderà sempre più frequenti, facciamo il punto su dove e come è più urgente intervenire. Abbiamo parlato molto delle mancate opere per mettere in sicurezza il Misa a Senigallia, o di altri fiumi, ma molto si dovrebbe dire anche dello spopolamento delle aree interne, che porta con sé abbandono del territorio, mancata cura delle foreste e fiumi che, in caso di piena, trascinano a valle di tutto».

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