Diritti

Analfabetismo? Un problema generazionale e di genere

Oggi l’85% della popolazione mondiale è alfabetizzata. Ma la quota che riguarda le ragazze si ferma al 61,9%. E per i bambini, la pandemia ha rappresentato un ostacolo ad apprendere la capacità di lettura e scrittura
Credit: Fabio Santaniello/Unsplash
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
28 settembre 2022 Aggiornato alle 17:00

Mentre combattiamo le – sacrosante – battaglie per il linguaggio inclusivo e l’ordine dei vocaboli nel dizionario, spesso dimentichiamo che nel mondo ancora 773 milioni di persone non sanno leggere (e scrivere). Due terzi, tra loro, sono donne.

Quando si parla di analfabetismo, spesso lo si fa riferendoci a quello di ritorno – il fenomeno per cui chi ha imparato a leggere e scrivere dimentica come farlo a causa del mancato esercizio – o, come accade recentemente, in relazione al cosiddetto “analfabetismo funzionale”, per cui il nostro Paese si colloca in una posizione tristemente drammatica.

Eppure, fino a pochi anni fa anche per il nostro Paese “analfabetismo” significava incapacità di leggere e scrivere.

Oggi, gli analfabeti in Italia sono solo lo 0,6% della popolazione (quasi 340.000), eppure non sono lontane le generazioni per cui la tv ha rappresentato uno straordinario strumento di alfabetizzazione, né chi ha potuto farlo solo grazie all’introduzione della scuola dell’obbligo.

Ancora troppo spesso diamo per scontate la capacità di leggere e scrivere – e tutte le infinite possibilità che queste ci offrono – dimenticando che ci sono ancora milioni di persone che non hanno avuto la possibilità di apprenderle e svilupparle. Una condizione che, prevedibilmente, interessa soprattutto i Paesi in via di sviluppo e, altrettanto prevedibilmente, riguarda in maniera particolare donne e ragazze.

Analfabetismo oggi, tra generazioni e generi

Nell’Africa subsahariana, a esempio, un adulto su 3 non è in grado di leggere. 48 milioni di giovani tra i 16 e i 24 anni sono completamente analfabeti e quasi un bambino su 4 in età scolare non frequenta alcun tipo di scuola e non riceve di conseguenza alcuna istruzione. L’Asia meridionale, invece, ospita quasi la metà della popolazione globale analfabeta (49%).

Nel quarto obiettivo dell’Agenda 2030 si legge: «Entro il 2030, assicurarsi che tutti i giovani e una parte sostanziale di adulti, uomini e donne, raggiungano l’alfabetizzazione e l’abilità di calcolo».

I progressi sono innegabili: 50 anni fa, a quasi un quarto della gioventù mancavano le competenze di alfabetizzazione di base, rispetto a meno del 10% nel 2016 e oggi l’85% della popolazione mondiale è alfabetizzata. I passi che rimangono da fare (in soli 8 anni), però, sono molti. Forse troppi.

Non solo perché secondo i dati Unesco, la maggioranza dei Paesi ha perso l’obiettivo dell’Educazione per Tutti (Education for All, Efa) di ridurre i tassi di analfabetismo degli adulti del 50% tra il 2000 e il 2015 e si stima che, a livello mondiale, che il tasso di alfabetizzazione degli adulti e dei giovani sia cresciuto solo del 4% in questo periodo.

Le differenze non sono solo generazionali, ma anche di genere.

Secondo i dati Unesco, la popolazione globale analfabeta di ragazze è del 61,9%.

Le donne dai 15 anni di età in su, inoltre, hanno un quinto in meno di probabilità di essere alfabetizzate rispetto agli uomini dello stesso gruppo di età.

A livello globale, le donne di età dai 15 anni in su hanno l’8% in meno di probabilità di essere alfabetizzate rispetto agli uomini, e le giovani donne tra i 15 e i 24 anni hanno il 3% in meno di possibilità di essere alfabetizzate rispetto ai giovani uomini.

Dal 1960 a oggi i dati sono migliorati più tra le donne che tra gli uomini, soprattutto nelle aree dove l’analfabetismo è più endemico: il tasso di alfabetizzazione delle ragazze giovani è del 17% più alto rispetto al tasso di alfabetizzazione delle adulte, rispetto al 9% di differenza tra uomini giovani e anziani.

Nonostante i progressi, però, la disparità di genere nell’alfabetizzazione giovanile persiste ancora in quasi un Paese su cinque. I dati, conclude il report, «sottolineano la necessità di rafforzare gli investimenti in alfabetizzazione e nei programmi di calcolo numerico in tutto il mondo se si vuole raggiungere il nuovo obiettivo di alfabetizzazione SDG entro il 2030».

A scuola prima, a scuola meglio

Tra questi investimenti un ruolo fondamentale riveste, ovviamente, la scuola: non solo l’istruzione primaria e secondaria, ma anche quella in età prescolare.

Secondo A World Ready to Learn: Prioritizing Quality Early Childhood Education, il primo rapporto Unicef sull’istruzione prescolare, più di 175 milioni di bambini – circa la metà della popolazione infantile in età prescolare a livello globale – non sono iscritti alla scuola dell’infanzia. Un dato che, ovviamente, è fortemente diseguale a livello regionale: nei Paesi a basso reddito solo 1 bambino su 5 è iscritto alla scuola dell’infanzia, mentre nei paesi ricchi l’80% dei bambini la frequenta regolarmente. Questo è un fattore determinante per il futuro di questi bambini, e per quello dei loro Paesi.

I dati raccolti da Unicef, infatti, mostrano come «il 47% dei bambini che hanno frequentato corsi di istruzione prescolare evidenziano vantaggi nell’alfabetizzazione e nella capacità di eseguire calcoli, rispetto al 20% dei pari età che non hanno avuto questo tipo di possibilità.

«L’istruzione pre-scolare è la base di un sistema educativo. Ogni grado successivo fonda il proprio successo su di essa - afferma Henrietta Fore, Direttore esecutivo dell’Unicef - Se i governi di oggi vogliono una forza lavoro competitiva per l’economia di domani, devono partire dall’istruzione della prima infanzia».

Anche sul fronte dell’istruzione e dell’apprendimento, però, sono necessari interventi strutturali coordinati a livello globale.

Secondo il report The State of Global Learning Poverty: 2022 Update, il tasso di povertà dell’apprendimento, che misura il numero di bambini che non riescono a leggere e comprendere un testo semplice entro i 10 anni è cresciuto a causa della pandemia.

Anche prima del Covid, però, la situazione era problematica: il tasso era già stimato al 57% nei Paesi a basso e medio reddito e arrivava a toccare punte dell’86% nell’Africa subsahariana.

Non solo: tra il 2015 e il 2019 non c’è stata alcuna riduzione della povertà globale nell’apprendimento.

Molti sistemi educativi, conclude il report nonostante i progressi compiuti negli ultimi decenni, «non riescono a garantire che i bambini sviluppino le abilità fondamentali. […] Combattere questa crisi di apprendimento è la sfida dei nostri tempi se non vogliamo perdere questa generazione di bambini e giovani. Investire nella loro istruzione è una precondizione per evitare un futuro shock negativo produttività, guadagni e benessere; è essenziale per la stabilità sociale, la pace e la sicurezza; è fondamentale per costruire società più eque e garantire la parità di opportunità per tutti; ed è essenziale per cambiare mentalità sull’urgenza del cambiamento climatico. Questa è una sfida globale, e lo è uno sforzo collettivo necessario per sensibilizzare e sostenere gli sforzi nazionali».

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