Diritti

Iran: le donne sfidano un velo impietoso

Dopo la morte della giovane Mahsa Amini, moltissime iraniane si tagliano i capelli e si tolgono l’hijab in segno di protesta. Mentre il Paese lotta contro l’inflazione
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 5 min lettura
21 settembre 2022 Aggiornato alle 06:30

L’Iran versa in condizioni economiche difficili. Il paese sta cercando la ripresa, dopo una stagnazione che è durata circa un decennio. Il PIL nazionale è passato dai 644 miliardi del 2012 ai 232 del 2020. Di conseguenza, il PIL pro capite, che nel 2012 era pari a 8.526 dollari, nel 2020 è crollato a 2.757. Il Paese combatte con un’inflazione elevatissima, giunta ormai al 31%. La contrazione delle entrate petrolifere ha portato a un crescente disavanzo di bilancio, che si è aggiunto alle pressioni inflazionistiche anche dovute alle operazioni di finanziamento del disavanzo portate avanti dal governo.

L’economia nazionale rimane soggetta all’impatto devastante della pandemia, che ha causato l’indebolimento della domanda interna (oltre che di quella globale). Basti pensare che solo un terzo delle posti di lavoro persi a causa dal covid è stato sinora recuperato. Al contempo, l’interscambio commerciale rimane limitato dalle sanzioni in corso, in particolare per quanto riguarda le esportazioni di petrolio.

Si tratta di un Paese le cui prospettive economiche sono attualmente soggette a rischi elevatissimi. E se, da un lato, un ulteriore aumento dei prezzi del petrolio può condurre a un incremento delle entrate fiscali e a una crescita più rapida dei volumi delle esportazioni di petrolio, la recrudescenza di nuove varianti di Covid-19, il peggioramento dell’impatto dei cambiamenti climatici e l’intensificarsi delle tensioni geopolitiche, compreso l’impatto della guerra in Ucraina sui prezzi alimentari globali e le importazioni dell’Iran, rischiano di complicare ulteriormente la situazione.

Secondo Human Righs Watch, il deterioramento delle condizioni economiche dovuto alle sanzioni unilaterali statunitensi e l’impatto della pandemia di Covid-19 hanno aumentato la povertà e ridotto il tenore di vita di milioni di persone nel Paese.

La condizione femminile

Su questa elevatissima complessità si innesta la condizione delle donne, tuttora molto delicata. Nel 2021, i seggi parlamentari occupati dalle donne erano solo al 6%. La fertilità è crollata a partire dagli anni Novanta e ora è quasi al di sotto del tasso di sostituzione. Contemporaneamente, le donne stanno divenendo più scolarizzate rispetto agli uomini: secondo i dati Unesco, l’istruzione terziaria delle ragazze nel paese è in aumento. Ciononostante, la partecipazione femminile al mercato del lavoro rimane inferiore al 20%.

Sulle possibilità di crescita personale e professionale a disposizione delle donne giocano un ruolo molto pesante le convenzioni sociali, oltre che la normativa nazionale. Nel 2016, solo il 15% delle donne iraniane sposate di età compresa tra 25 e 44 anni ha partecipato al mercato del lavoro, rispetto al 40% delle donne non sposate. Queste continuano a subire discriminazioni negli ambiti del matrimonio, del divorzio, dell’eredità e delle decisioni relative ai figli.

Un esempio su tutti: secondo la legge sui passaporti, una donna sposata non può ottenere un passaporto o viaggiare fuori dal paese senza il permesso scritto del marito, che ha peraltro la libertà di revocare tale concessione in qualsiasi momento. Ancora, secondo il codice civile, al marito è riconosciuto il diritto di impedire alla moglie di svolgere determinate occupazioni, se le ritiene contrarie ai “valori familiari”. Un ultimo dato: la legge iraniana consente alle ragazze di sposarsi a 13 anni e ai ragazzi a 15 anni, ma anche in età più giovane, se si ottiene l’autorizzazione di un giudice.

Perché ne parliamo?

Pochi giorni fa, Mahsa Amini, una giovane donna di 22 anni, è morta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale, a quanto pare per non aver rispettato la legge governativa sull’hijab, che impone alle donne capelli coperti e abiti larghi. La legge sull’hijab iraniana, entrata in vigore nel 1981 dopo la rivoluzione islamica, è stata a lungo oggetto di contestazione e, negli ultimi anni, diverse donne sono apparse in pubblico senza l’abbigliamento richiesto.

La notizia della morte di una giovane donna, avvenuta presumibilmente per non aver aderito perfettamente questa legge è, ovviamente, agghiacciante. Ma a destare ancora maggiore stupore è la reazione osservata durante il suo funerale, quando moltissime persone sono scese in piazza e molte donne hanno deciso di levarsi il velo al grido di “Morte al dittatore”.

Le proteste sono scoppiate venerdì in diversi quartieri di Teheran dopo la notizia della morte della giovane e sono continuate anche dopo il funerale, anche sui social, facendo di #MahsaAmini uno degli hashtag in lingua persiana più utilizzati di sempre su Twitter.

Secondo il New York Times, molti iraniani, funzionari, figure religiose, celebrità e anche atleti hanno chiesto che venga posta una fine alla pratica della detenzione delle donne per non aver osservato le regole dell’hijab.

È forse presto per parlare di rivoluzione culturale. Ma qualcosa sta accadendo.

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