Diritti

Perché Chiara Ferragni non è l’anti-Meloni

La visione dell’influencer su famiglia e consumismo in realtà è più vicina alla destra che alla sinistra. Come - peraltro - tutti i comportamenti (non i proclami, certo) della cultura con la C maiuscola
Credit: EPA/IAN LANGSDON / POOL

È stata come un’illusione, durata il tempo di un attimo. Quella che che ci fosse una donna di sinistra a contrastare Giorgia Meloni.

L’illusione è durata il tempo di una storia di Instagram, quella pubblicata dalla Ferragni, che ha rilanciato un articolo che denunciava l’impossibilità di abortire nelle Marche dopo la vittoria del centro-destra.

Non si tratta solo del fatto che Meloni è una politica e Ferragni un’imprenditrice, che si rivolge dunque al suo vasto pubblico per ben altri intenti, quelli di raccontare la sua vita e vendere prodotti, non smuovere le coscienze.

Di più: Chiara Ferragni non è portatrice di valori di sinistra, come hanno notato alcuni commentatori.

La sua visione – famiglia e consumismo a gogo – è semmai più vicina, se pure inconsapevolmente, a quella della destra. Ma allora perché ogni tanto le sue incursioni a sinistra?

Semplice. È marketing.

Si tratta di dare un tocco progressista al suo impero mediatico e commerciale. Il che non vuol dire che Ferragni non creda in ciò che scrive, come quando denunciò la violenza a Milano, ma semplicemente che qualche pennellata di critica sociale e politica rende più gradevole il suo prodotto. Alla stregua di un packaging ecologico, né più né meno.

Nel 2022 conta la faccia (e anche i capelli)

Per questo Chiara Ferragni non è l’anti-Meloni. E per questo, tristemente, ci troviamo nel 2022 con il seguente spettacolo, quello che di offre la campagna elettorale: nell’area di centro-sinistra, i leader di partito sono tutti maschi (con l’eccezione della Bonino): Calenda, Renzi, Letta, Fratoianni, Bonelli, Conte.

A destra, lo spazio mediatico è interamente preso da una donna, giovane per l’età media dei leader, carismatica, determinatissima. E poco importa che alle sue spalle ci siano solo uomini anziani.

Poco importa che sia portatrice di una visione conservatrice delle relazioni sociali e della famiglia.

In politica il presidenzialismo è già realtà e ciò che conta è la faccia (e pure i capelli). E la cruda verità è che a destra la faccia è donna e sinistra è uomo.

Candidate validissime, che avrebbero potuto essere formidabili leader come Elly Schlein, una perfetta anti-Meloni, preparatissima e abile nella retorica, sono state candidate e basta. In seconda fila, come sempre.

Un problema gigantesco di cui nessuno parla.

Il gioco sporco del paternalistico seduttore

La questione, però, non riguarda solo la sinistra politica – magari - ma in generale anche quella giornalistica, editoriale, mediatica e culturale in senso lato.

Chi, donna, magari giovane o ancora giovane, ha avuto a che fare, lavorando nel giornalismo “a sinistra”, dunque con direttori quasi tutti uomini, così come con editor, giornalisti con ruoli di peso, scrittori, alcuni molto noti sa che l’approccio è spesso lo stesso.

La considerazione verso le donne è sempre, in qualche modo, legata all’aspetto fisico.

Poi certo, le capacità lavorative e giornalistiche contano, ma il ruolo nel quale questi maschi di sinistra si pongono, non troppo lontani dunque dal loro rivale Berlusconi - tranne che per gli eccessi ovviamente - è sempre quello di seduttori.

Raramente esiste un sentimento di riconoscimento profondo del valore di una donna in quanto tale, in quanto svincolato dall’essere donna e magari carina.

Raramente c’è un confronto franco su un piano di uguaglianza concreta.

Peggio: tutto ciò che questi maschi di mezza età prospettano alle donne in termini lavorativi – libri, rubriche – sono sempre legati all’accettazione di questo rapporto ambiguo, che presuppone, quand’anche non sia legato a proposte esplicite, di svolgere comunque il ruolo della sedotta, gratificante per il loro ego.

Come mai le donne di sinistra qualche volta accettano questo gioco? Probabilmente perché insicure, anzitutto, ma soprattutto per il timore di perdere progetti, possibilità.

Cosa che puntualmente avviene se la donna si sottrae al gioco narcisistico della seduzione.

Necessarie in quanto accessorie

La cruda verità è che gli uomini di sinistra – ripeto editor, giornalisti, autori, oltre che ovviamente politici – sono tendenzialmente maschilisti, anche se non lo ammetterebbero mai e pure se a parole parlano di parità e magari pubblicano fior di libri sull’eguaglianza di genere.

Tendono a fare squadra tra di loro, e se proprio devono inserire una donna lo fanno malvolentieri, magari appunto come tocco femminile che copre il loro monocolore.

Una scrittrice-sceneggiatrice mi confessò un giorno di essere disperata perché gli autori Rai erano tutti uomini, proprio quando si trattava di scrivere, come in quel caso, una fiction su temi assolutamente femminili. Nelle redazioni, direttori e vicedirettori sono ancora per lo più uomini, nell’editoria gli editor pure.

Le donne hanno conquistato spazio, certo, ma restano sempre un passo indietro.

Perché la verità è che in fondo gli uomini di sinistra (inconsapevolmente forse, che però è persino peggio), condividono la stessa visione della destra: vorrebbero le donne soprattutto a occuparsi dei propri figli e vorrebbero loro occuparsi delle cose pubbliche, senza fastidiose quote rosa (che peraltro non ci sono).

La donna in redazione o in parlamento può ambire, certe volte al ruolo di sedotta - a volte di amante? - riproducendo il perfetto schema della donna vergine e di quella meno santa di millenaria memoria condiviso dalla maggioranza dei maschi italiani di qualunque colore politico.

Un po’ di emancipazione, purché non si scalzino i capi

Se il maschilismo viene indicato ed esposto, gli uomini di sinistra tendenzialmente si arrabbiano.

Quando Rula Jebreal si rifiutò di andare a Propaganda Live, venne prontamente rimpiazzata da Barbara Serra. La quale però non si prestò al gioco e spiegò dallo schermo in maniera memorabile e commovente perché giustificare l’assenza delle donne con la mancanza di competenze è un ragionamento che non sta in piedi da nessuna parte, visto che il problema è che non si gareggia ad armi pari, anzi che non c’è proprio gara.

Nulla cambiò, comunque come nulla è cambiato, a sinistra, rispetto alle donne, considerate ancora necessarie ma solo, paradossalmente, in quanto accessorie.

È evidente che la questione è una questione culturale.

Non c’è femminismo di sorta negli ambienti di sinistra di potere, quel femminismo che circola in altri circuiti minori. Dal potere-potere le donne di sinistra restano escluse, accedendo solo al potere minore. Che si devono far bastare.

L’intera società italiana oggi si basa su questo assunto, ovvero sul fatto che alla donna italiana viene concessa un po’ di emancipazione, certo, ma a patto che non venga meno ai suoi doveri familiari e a patto, soprattutto, che non sostituisca gli uomini nei ruoli apicali.

Cosa che, in definitiva, condanna le donne a una vita persino peggiore di quando stavano solo a casa, visto che devono lavorare il doppio per non accedere agli stessi onori – e stipendi – a cui accedono gli uomini.

E no, la sinistra, che dovrebbe veicolare una visione davvero paritaria, fraterna, femminista tra uomini e donne, non si distanzia da questa visione.

Donne, quella paura del conflitto e di perdere lo spazio conquistato

Perché le donne non si ribellano?

La risposta è di nuovo culturale, antropologica. La paura di perdere lo spazio conquistato. L’incapacità di stare in prima linea quando per una vita ti hanno insegnato che è meglio stare un passo indietro.

Spesso, la difficoltà a gestire i conflitti, che i maschi politici invece sanno affrontare meglio proprio grazie al loro sproporzionato ego e perché da sempre abituati.

Tutto questo spiega, ma parzialmente, l’anomalia italiana.

Il resto lo fanno leggi che non sempre non impongono candidate rosa nelle liste (o i leader che fanno sì che quelle posizioni non si traducano in posti), lo fanno i media, anche “progressisti”, che non solo non mettono in discussione questa palese diseguaglianza, ma la confermano presentando dibattiti con quattro uomini e una donna, lo fanno sindacati e imprese, dove ancora a ruoli apicali ci sono uomini.

Dovremo aspettare forse le nuove generazioni, dove la parità è un fatto, perché qualcosa cambi, anche se il sistema è abile a cooptare i nuovi arrivati e portarli sui propri valori.

Nel frattempo, il principale partito di sinistra continua ad avere un segretario maschio. I leader restano maschi, esattamente come negli anni Cinquanta, nel paese dove non c’è mai stato né un capo di stato né un premier donna.

Oggi una donna spregiudicata, sicura, brillante potrebbe diventare la prima presidente del Consiglio. Ma di un governo di destra, appunto. Femminile ma probabilmente anti-femminista. Un paradosso, ancora una volta, tutto italiano.

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