Diritti

Carla Lonzi vive

Quarant’anni fa moriva una delle madri del femminismo italiano di seconda ondata. Ma i suoi testi sono quasi irreperibili

Fondo Carla Lonzi, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Fondo Carla Lonzi, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
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5 agosto 2022 Aggiornato alle 06:30

Il 2 agosto ricorrevano i quarant’anni dalla morte di Carla Lonzi, e i profili social delle femministe italiane di ogni generazione erano popolati da sue foto. In quasi tutti i post veniva citato un fatto: i libri di Lonzi non sono più in catalogo. Sono rintracciabili forse nei negozi di seconda mano, e non essendo più editi o ristampati hanno il valore della rarità, ma non certo quello della diffusione. Eppure Lonzi è una figura fondamentale della storia culturale italiana, non solo di quella dei femminismi: co-fondatrice di Rivolta Femminile insieme a Carla Accardi ed Elvira Banotti e con loro co-autrice del celebre Manifesto comparso sui muri di Roma nel 1970, autrice di saggi diventati classici come Sputiamo su Hegel e La donna clitoridea e la donna vaginale, intellettuale e attivista. Insomma: una madre del femminismo italiano, fra le prime a rivendicare il diritto delle donne di centrarsi solo su sé stesse e a fare di questa centralità una filosofia, oltre che una pratica.

I femminismi cambiano, ma molti dei punti elencati nel Manifesto di Rivolta Femminile sono ancora più che validi. Sono passati più di cinquant’anni, e le donne (non solo le donne: tutti i soggetti che non si riconoscono nell’identità-base del maschio etero cisgender) ancora definiscono sé stesse e sono definite in contrapposizione e come complemento dell’uomo, l’ombra junghiana, l’altro inconoscibile e misterioso. L’approccio radicale di Lonzi e delle sue coeve era di rifiuto e rigetto di millenni di storia e filosofia scritte dagli uomini su un impianto di cultura creata dagli uomini: è un’autodeterminazione che va oltre quella del corpo, che pure è centrale in questa battaglia, è un ripensarsi al di fuori dal solco tracciato dai pensatori, una rifondazione, una critica diretta e che non fa prigionieri. Ne abbiamo ancora bisogno, anche se il genere come lo conoscevamo è cambiato e le linee di intersezione fra le diverse oppressioni si sono fatte più chiare.

La scomparsa di Lonzi dalle librerie non è un incidente. Rientra in uno sforzo deliberato, anche se non del tutto conscio o pianificato, di soppressione del pensiero femminile rivoluzionario. Anche da viva, Lonzi faceva notare come le femministe faticassero a farsi ascoltare: rimane celebre una lettera che scrisse a Pier Paolo Pasolini sul tema dell’aborto, in risposta a un suo articolo comparso sul Corriere della Sera. “Il tuo articolo l’ho letto con partecipazione, come se senti la voce di un fratello, e con l’amarezza di constatare che il fratello continua ad arrivare prima della sorella a farsi ascoltare” scrive Lonzi a Pasolini, cercando un dialogo che nella realtà non decollò mai.

Lonzi e Pasolini erano coevi: lei gli sopravvisse di qualche anno, ma la venerazione che viene tributata a lui è pari all’oblio a cui è stata consegnata l’opera di lei, ennesima autrice cancellata dalla storia, con buona pace di chi adesso grida alla cancel culture. Senza Lonzi, i femminismi italiani difficilmente si sarebbero coagulati in qualcosa di più consistente che delle lotte episodiche: ogni movimento ha bisogno dei suoi testi, perché la sistematizzazione del pensiero e la creazione di un ragionamento che possa dialogare con altri non è possibile al di fuori della dimensione organica della scrittura.

La cancellazione del pensiero femminile è indispensabile a conservare l’impressione che le donne non pensino, che non facciano filosofia, e che quello che pensano e scrivono non abbia rilevanza per il mondo, al massimo per le altre donne. I programmi scolastici contengono pochissimi riferimenti ad autrici, e nella filosofia le donne sono praticamente assenti. Questa soppressione rende più difficile l’incorporamento dei fondamenti dei femminismi nella cultura generale: privata della memoria di ciò che è stato scritto in precedenza, ogni generazione deve ricominciare da capo a tracciare le radici della sua oppressione per ricostruire e illustrare le basi della lotta. Immaginatevi la stessa operazione applicata ai fondatori del socialismo, a Marx ed Engels, o ai padri della psicanalisi. Immaginatevi un mondo in cui il concetto di “patriarcato” sia entrato nell’uso comune, ma non quello di “inconscio”. Chissà perché l’assenza delle donne dalla dialettica del pensiero non è mai percepita come mancanza, ma sempre e solo come inesistenza.

Abbiamo ancora bisogno delle opere di Carla Lonzi, perché la crescita è possibile solo attraverso la conoscenza, la costruzione solo attraverso la decostruzione. Abbiamo bisogno di leggere, storicizzare, criticare, interiorizzare le filosofie femministe, perché sono filosofie umane: le donne non vengono da Venere, non sono “altro”, marginalità o esseri complementari. Questo, Carla Lonzi lo aveva capito, e ce l’ha raccontato più di mezzo secolo fa.

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