Futuro

Quando l’Italia era il Paese degli ingegneri più famosi al mondo

La nostra storia è puntellata da importanti dighe, dall’Autostrada del Sole e dalle avveniristiche opere costruite da Pier Luigi Nervi per le Olimpiadi di Roma del 1960. Oggi possiamo e dobbiamo fare altrettanto
Credit: Claudio Marcello via Industria delle Costruzioni
Tempo di lettura 4 min lettura
16 agosto 2022 Aggiornato alle 17:00

Questa storia non è molto conosciuta ma merita certamente di essere raccontata, perché un tempo, non troppo lontano, eravamo il Paese degli ingegneri più famosi al mondo, e non eravamo famosi per leccornie o crisi di governo.

A conferma di ciò, il ponte più lungo del mondo da poco inaugurato, non è italiano, ma nel secolo breve eravamo noi a occupare le prime pagine per notizie simili.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’Italia era un Paese distrutto, una guerra di territorio ci aveva devastato, eppure l’agire operoso di tutti ci ha permesso di ripartire e raggiungere alte mete oggi impensabili, proprio oggi quando invece la tecnologia e il know how ci permetterebbero di fare davvero tutto.

Finita la guerra l’Italia è un Paese da ricucire, in particolare ponti e strade sono andati distrutti e gli ingegneri sono chiamati alla ricostruzione: in poco tempo si ripristinano le vie di comunicazione e si avviano progetti epocali.

Basti pensare all’autostrada Milano-Napoli, costruita tra il 1956 e il 1964, quasi 800 chilometri di autostrada e più di 400 ponti costruiti in solo otto anni valicando gli Appennini: è l’autostrada del Sole, che attraversa il Bel Paese e lo impreziosisce di una serie magnifica di ponti costruiti dai più bravi ingegneri del tempo, solo per citarne alcuni Riccardo Morandi e Silvano Zorzi, che utilizzano il nostro materiale, di cui l’Italia è ricca: il cemento.

È paradossale pensare a come sia cambiato il rapporto con questo materiale: un tempo fonte di fama e ricchezza, oggi al centro di strategie su come rendere pulita l’industria del cemento.

La storia dell’autostrada è davvero incredibile e viene celebrata in tutto il mondo; infatti, nel 1964 al Moma di New York la mostra Twentieth Century Engineering celebra l’ingegneria mondiale e il saper fare italiano: le nostre opere sono, per numero, al secondo posto solo dopo gli Stati Uniti, che però per dimensioni geografiche non sono paragonabili al nostro Paese.

In mostra ci sono i ponti dell’Autostrada del Sole, le dighe di Claudio Marcello e le opere costruite da Pier Luigi Nervi per le Olimpiadi di Roma del 1960, le prime a essere trasmesse in televisione.

Tutti, quindi, hanno visto la cupola del Palazzo dello Sport di Nervi a Roma che, come un’aureola, avvolge Cassius Clay mentre riceve la medaglia d’oro sul ring e consacrano alla storia anche Nervi che diventa l’ingegnere più famoso al mondo.

Ma non solo per il Palazzo, ma anche per il Palazzetto dello sport, la cui cupola di 60 metri di diametro è stata costruita come un puzzle 3D di 1620 pezzi e che, proprio in questi giorni è oggetto di un restyling per farla tornare ai fasti delle olimpiadi.

Raggiunto l’apice del successo, di quella che viene chiamata Scuola Italiana di Ingegneria, tutto cambia con il 1963 e il disastro della diga del Vajont: l’ingegnere non ha più operato per la società, ma si è fatto piegare dagli interessi personali, non è più l’ingegnere in divisa che opera per il bene comune.

A questo va aggiunto che la fine del boom economico è vicina, come già disse Aldo Moro il 12 novembre 1964 in occasione dell’inaugurazione dell’Autosole, è tempo di “tirare la cinghia”, ed è stato il tempo della scomparsa degli ingegneri come quello della “scomparsa delle lucciole” di pasoliniana memoria.

Ciò nonostante, non dobbiamo dimenticare che, nel periodo peggiore della nostra storia, siamo stati in grado di diventare, in poco tempo, il Paese con gli ingegneri più famosi del mondo, e che quindi oggi, a seguito del nefasto periodo appena trascorso con la pandemia non del tutto passata, ma anche con l’emergenza climatica e con la sua ricaduta economica sulla vita di tutti, possiamo fare e dobbiamo fare altrettanto.

Leggi anche