Futuro

No, i videogiochi non fanno male

Una ricerca della Oxford University rivela che il tempo trascorso a giocare ai videogames non influisce sul benessere mentale dei giovani
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
27 luglio 2022 Aggiornato alle 17:00

Giocare per molto tempo ai videogames influisce sul benessere? No, secondo uno studio dell’Università di Oxford, che ha voluto sfatare uno dei miti più diffusi nel mondo dei giovani e della salute mentale.

Con il più grande sondaggio mai condotto, che ha coinvolto quasi 40.000 players e le loro abitudini di gioco, in sei settimane il team dell’Internet Institute, il dipartimento fondato nel 2001 per indagare le opportunità e le sfide sociali poste dal rapido sviluppo delle tecnologie Internet, non è stato trovato alcun “nesso causale” tra il tempo trascorso con i videogiochi e il senso di malessere.

I risultati mostrano che l’impatto sul benessere del tempo trascorso a giocare “è probabilmente troppo piccolo per essere percepibile soggettivamente e non credibilmente diverso da zero”, scrivono gli autori. Il professor Andrew K. Przybylski, ricercatore senior dell’istituto, ha spiegato che è emersa una netta differenza nell’esperienza di coloro che giocano “perché vogliono” e di quelli che lo fanno “perché sentono di doverlo fare”.

«Abbiamo scoperto che non era la quantità di gioco che contava, ma la qualità. Se sentivano di dover giocare, si sentivano peggio. Se hanno giocato perché lo adoravano, i dati non suggerivano che avesse influito sulla loro salute mentale. Sembrava dare loro una forte sensazione positiva», continua Przybylski.

La ricerca, pubblicata sulla rivista accademica Royal Society Open Science, spiega il metodo di studio: “Abbiamo collegato sei settimane di dati oggettivi sul comportamento di gioco di 38.935 giocatori, che ne hanno autorizzato l’utilizzo, forniti da 7 editori di giochi”, chiedendo loro di valutare il loro benessere mentale e confrontandolo con la quantità di tempo trascorso giocando nelle 2 settimane precedenti.

Come riporta il Guardian, nonostante abbiano contattato più di 30 compagnie di videogiochi, solo un quarto circa ha accettato di partecipare, condividendo i dati dopo un anno e mezzo: i giochi studiati sono Animal Crossing: New Horizons, Apex Legends, Eve Online, Forza Horizon 4, Gran Turismo Sport, Outriders e The Crew 2.

Il professor Przybylski ha spiegato che i risultati non cambiavano, sia che il gioco prevedesse il trasferimento in una nuova città con animali parlanti, come in Animal Crossing, sia che si trattasse di un gioco in stile battle royal, come Apex Legends, che ha come obiettivo la sopravvivenza in un’arena player versus player.

«Circa 1 miliardo di persone gioca ai videogiochi in tutto il mondo. Ci sono 3.000 giochi solo sulla piattaforma Nintendo. Le persone giocano a più videogames e siamo stati in grado di accedere a informazioni su 39.000 persone che giocano a soli sette giochi popolari». Si tratta di una goccia nell’oceano, secondo il professore, ma può rispondere in parte alle preoccupazioni di genitori in pensiero per i figli che trascorrono molto tempo a giocare su dispositivi tecnologici.

«Dobbiamo raccogliere campioni rappresentativi di grandi dimensioni e dobbiamo farlo a livello di piattaforma. Guardare solo 7 giochi, è come guardare sette supermercati: quando conosci Tesco e gli altri, vendi migliaia di cibi diversi e gli acquirenti riempiono diversi carrelli», ha aggiunto Przybylski.

Inoltre, la ricerca non ha raccolto dati per le singole sessioni di gioco di durata inferiore a zero o superiore a 10 ore, a causa del rischio di errori di registrazione. Quindi potrebbero esserci effetti negativi per quei giocatori che superano le 10 ore davanti al pc, ma i dati sono abbastanza solidi da smentire i timori di un legame generale tra tempo di gioco e cattiva salute mentale.

Comunque, nonostante la mancanza di dati di supporto che dimostrino i potenziali rischi dei videogames sulla salute mentale di un giocatore, molti governi hanno adottato misure di vasta portata – ampiamente contestate – per limitarne l’uso: in Cina, per esempio, ai bambini è consentito solo per un’ora al giorno il venerdì, il sabato e la domenica.

“Al contrario”, si legge nella ricerca, “i videogames possono aiutare i giocatori a rilassarsi e ricaricarsi, e persino servire come trattamento psicologico. Di conseguenza, i giochi hanno il potenziale per influenzare il benessere su scala globale. È quindi fondamentale che i ricercatori forniscano prove solide, credibili e pertinenti per informare i responsabili politici”.

Si tratta dei primi passi nel mondo della comprensione del ruolo del gioco nella vita dei players, che hanno il diritto legale di donare i propri dati, e «vogliono conoscerne l’impatto. Gli scienziati lo vogliono sapere. I genitori. Il governo. E le informazioni ci sono. Questi dati devono essere aperti e devono essere facili da condividere», sottolinea il ricercatore.

E se davvero «le grandi piattaforme di gioco si preoccupano del benessere dei loro utenti, devono consentire a players e scienziati di imparare come i loro prodotti ci influenzano, nel bene e nel male».

Leggi anche
Svago
di Fabrizio Papitto 3 min lettura
empowerment
di Caterina Tarquini 3 min lettura