Diritti

Votare, oh oh

La tentazione dell’astensionismo è forte. Ma va superata con un esercizio di coscienza, e guardando al futuro senza cedere ai ricatti
Una cabina elettorale danese per il referendum dello scorso giugno
Una cabina elettorale danese per il referendum dello scorso giugno Credit: EPA/EMIL HELMS DENMARK OUT
Tempo di lettura 6 min lettura
27 luglio 2022 Aggiornato alle 06:30

Questo articolo non parla a te, lettore o lettrice de La Svolta.

Di sicuro hai già una posizione forte, articolata, con delle priorità chiare – fammi indovinare: ambiente, diritti, sostenibilità, futuro? – e un’idea di come farle valere non solo nella prossima tornata elettorale, ma anche dopo. Il tuo impegno arriva da lontano, non hai bisogno di affrontare l’argomento “voto consapevole”, perché l’hai già affrontato, sviscerato, e per il 25 settembre 2022 hai già un’idea di come ti esprimerai.

O forse, invece, parla proprio a te. Che un’idea ce l’hai, certo, e hai anche delle priorità, ma non sai a chi dare il tuo voto: il centrosinistra come lo conosciamo ha dato prova di non saper rispondere alle tue richieste, e la sinistra extraparlamentare ti dà un senso di precarietà, di fragilità assoluta. Hai paura. Vorresti votare per qualcuno che ti rappresenta, ma temi di disperdere il voto: ti trovi tra due pericoli, il ricatto emotivo di un partito che si finge morto perché se non dice niente non può peggiorare la sua situazione e quello di formazioni che faticano a passare lo sbarramento.

Eh già, lo sbarramento al 3%: quella cosa messa lì per assicurare la “stabilità” eliminando i piccoli partiti, e che nei fatti ha privato milioni di cittadini di una rappresentanza. Colpa anche delle microformazioni di sinistra, che pur stando su posizioni sostanzialmente simili se non identiche sono incapaci di formare una coalizione che le porti a superare quella soglia. E insomma, chi non si sente rappresentato dalle destre, dai centristi liberali come Azione! o Italia Viva e nemmeno dal PD rimane regolarmente fuori dal Parlamento, perché il suo partito da solo non ce la fa. Non parliamo di persone che non si occupano di politica, casomai parliamo di persone che di politica se ne occupano parecchio, e sono stanche di vedere riproposta sempre la stessa idea gattopardesca di Paese, dove tutto cambia perché niente cambi.

Nell’episodio di lunedì del suo podcast quotidiano, Morning, Francesco Costa ha detto una cosa che è indiscutibile: e cioè che se i programmi dei partiti fossero realistici e affidabili, scegliere chi votare sarebbe solo una questione di lettura, assimilazione e decisione sulla base dei punti elencati. La verità è che i programmi contengono da sempre una misura di balle, approssimazioni, sparate e pensiero magico che è molto variabile da partito a partito, ma di fatto contano zero di fronte alla realtà e agli imprevisti. Tipo: una pandemia, Putin che invade l’Ucraina, il riscaldamento globale che presenta il conto in forma di siccità devastante e caldo incompatibile con la vita (quest’ultimo non proprio un imprevisto, ma vabbe’).

Su una cosa però Costa finisce per glissare, ed è il punto principale. I programmi potranno essere irrealizzabili, ma ci forniscono un’idea abbastanza precisa di qual è il mondo immaginato dai partiti. Per capirlo bisogna tenere conto innanzitutto di cosa contengono e in quale ordine. Qual è il primo punto? L’ambiente? La tutela dei lavoratori? Il salario minimo garantito? La parità di genere? Oppure sono le politiche per la natalità, il controllo degli sbarchi, il contrasto alla cosiddetta “ideologia gender”?

Con buona pace di chi pensa che viviamo in un mondo post-ideologico, ogni programma esprime un’ideologia. L’ideologia è quella cosa che orienta le scelte politiche e modifica la realtà, plasmandola in una direzione o nell’altra: verso destra o verso sinistra o lasciando tutto come sta (che poi è sempre la destra, ma a risparmio di energie). Prendiamo il salario minimo: è stato definito una “misura ideologica”, e lo è. Risponde all’ideologia per cui chi lavora deve ricevere una paga oraria dignitosa e commensurata al costo della vita. Tu pensa che brutta ideologia. Ma pure la legge di riforma della cittadinanza è definita una legge “di bandiera”, perché fortemente osteggiata dalle destre: chi può votare fa anche una scelta fra chi vorrebbe garantire il diritto di voto agli italiani che non ce l’hanno perché figli di genitori stranieri, e chi invece si oppone a questo provvedimento. Ideologia pure questa? Certo. In un senso e nell’altro.

Quello che non c’è vale quanto quello che c’è. Se i partiti lasciano fuori qualcosa, quasi sicuramente di quella cosa non si vorranno occupare. La scuola, per esempio, viene spesso ignorata, così come la cultura: l’esperienza insegna che chi non se ne occupa non ci vuole mettere dei soldi, anzi, spesso lavora attivamente per definanziare i settori ritenuti “non produttivi”.

L’ambiente è un altro punto su cui le destre fanno le gnorri, come anche la salute pubblica in tempo di pandemia. Insomma, se da un lato i programmi dei partiti hanno lo stesso grado di realismo delle fiabe italiane raccolte da Italo Calvino, dall’altro a leggerli si capisce benissimo chi sarà a trarre vantaggio dall’orientamento espresso, e chi invece rischia letteralmente la violenza quotidiana.

Le destre non hanno bisogno di attuare programmi o fare leggi perché il numero di crimini d’odio aumenti: la loro sola presenza al governo e la retorica di cui si fanno portatrici è un catalizzatore. Lo dicono i numeri presentati dal Ministero dell’Interno nel 2020, a valle di due anni di governo gialloverde improntato a una violenza verbale che aveva pochi precedenti nella storia repubblicana. Chi parla di inasprire le pene per gli atti violenti senza fare prevenzione contro la cultura dell’odio non ha a cuore la sicurezza, solo la sua immagine. Donne, persone LGBTQ e minoranze di ogni tipo possono continuare a subire aggressioni, anzi, va bene così: la loro paura è funzionale al mantenimento dello status quo. A quel punto, dire “Puniremo i violenti” costa poco e non impegna. Peccato che oltre alla prevenzione manchino anche leggi specifiche, e ricordate chi ha esultato per l’abbattimento del DDL Zan, vero?

Insomma: non andare a votare è una scelta, ma è una scelta che ha delle conseguenze. Se chi finora si è astenuto votasse in massa per un partito ambientalista, il partito ambientalista farebbe il 40%. Sì, è un’ipotesi assurda: gli astensionisti non sono al 40% ambientalisti, non sono al 40% niente (e sono, contemporaneamente, tutto). Ogni persona ha un voto, e quel voto conta, ogni voto è utile. È venuto il momento di usarlo al meglio delle nostre possibilità.

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