Ambiente

Una costituzione fondata sull’ambiente

Le scelte che aumentano le emissioni di CO2 sono incostituzionali. Con le modifiche del febbraio scorso, la carta fondamentale tutela gli ecosistemi: le decisioni devono andare in questa direzione. Altrimenti sono contro la legge
I fondatori di Climeworks nel loro stabilimento in Svizzera
I fondatori di Climeworks nel loro stabilimento in Svizzera Credit: Luca Locatelli for The New York Times
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21 luglio 2022 Aggiornato alle 06:30

Il caldo e la siccità avviluppano questa estate. Gli incendi e le sofferenze dei boschi o dei fiumi sono sotto gli occhi di tutti. I record di temperatura sono ormai costantemente battuti. Difficile trovare qualcuno che non se ne renda conto. Quello che gli umani devono fare per rispondere all’emergenza climatica, ormai, è relativamente chiaro. Le conseguenze dell’inazione, ormai, sono drammaticamente evidenti. E non si manifestano solo in una prospettiva di decenni: cominciano a mostrarsi già ora. La complessità del tema è evidente e impedisce di immaginare che i tempi dell’aggiustamento possano essere immediati. Ma questo non significa che non si possa prendere con maggiore decisione la strada giusta.

Eppure di questi tempi sembra che la strada giusta si stia perdendo. Alla crisi energetica si risponde con misure di brevissimo termine, il che può anche essere comprensibile: ma queste non sono accompagnate da un racconto coerente. Mentre potrebbero esserlo. La leadership europea potrebbe dire con chiarezza: dobbiamo sostituire il gas russo con altro gas per un anno, ma cominciamo subito a sostituirne una parte con un massiccio ricorso alle rinnovabili. A partire dall’uso del gas nelle case, sostituendolo almeno in parte con pannelli e altre tecnologie: per l’amministratore delegato dell’Enel, Francesco Starace, una via del genere potrebbe portare in 4 anni a ridurre della metà il consumo di gas in un paese come l’Italia.

Si tratterebbe insomma di costruire una narrazione della transizione energetica che chiarisca la direzione, consenta alle famiglie e alle imprese di investire sul cambiamento tecnologico, dia una prospettiva di miglioramento ai cittadini sempre più preoccupati per l’emergenza climatica.

Eppure le notizie sulla politica energetica arrivano ancora a brandelli, senza un disegno complessivo. Secondo Corinne Le Quéré, scienziata che ha scritto molte parti dei rapporti dell’IPCC sull’evoluzione del clima nel pianeta, ci sono almeno due meccanismi della politica che sembrano frenare un’azione più decisa nei confronti dell’emergenza climatica. Il primo è quello di considerare prioritario ciò che appare urgente e secondario ciò che è importante: il circo della politica produce maggiore attenzione sulle questioni immediate - come la guerra, l’inflazione, la crisi di approvvigionamento di gas - e genera minore focalizzazione sulle dinamiche ambientali che fanno da quadro a ogni vicenda umana.

Il secondo meccanismo frenante è l’abitudine della politica di adeguarsi al ritmo innovativo degli altri: «Secondo me - dice Le Quéré - molti politici capiscono la situazione. Ma trovano sempre una scusa per rimandare le decisioni che vanno prese. E guardano a quello che fanno gli altri invece che operare le scelte che comprendono perfettamente essere quelle giuste». Quello che sta accadendo al clima, dice Le Quéré, è totalmente prevedibile e previsto. Del resto, fin dal rapporto del MIT per il Club di Roma, I limiti dello sviluppo, del 1972, si era capito che sarebbe successo quello che oggi si vede, compresa la dinamica climatica connessa alle emissioni di CO2, che comunque non è l’unica questione da tenere presente. Casomai le sorprese possono venire dalle accelerazioni improvvise, dovute ai loop che generano cambiamenti di tipo esponenziale e “punti di non ritorno”, come spiega Lawrence Krauss, autore de “La fisica del cambiamento climatico” (Raffaello Cortina 2022). «L’evoluzione di fondo del clima segue una traiettoria prevedibile come quella di un treno che sta sui suoi binari» dice Le Quéré al Financial Times.

Insomma. La storia è composta di fatti che avvengono giorno per giorno e anche di processi che hanno durate più lunghe. È abbastanza assurdo che la politica sia fatta in modo da essere incentivata a concentrarsi sui fatti del giorno per giorno, allorché le dinamiche importanti sono per definizione quelle che hanno conseguenze di lungo termine. Ma perché la politica possa interessarsi di ciò che veramente conta perché ha una lunga durata occorre che tra le parti che si contendono il potere ci sia una forma di competizione-collaborazione: esistono questioni che meritano opinioni divergenti, ma esistono assolutamente anche questioni che esigono idee convergenti. Il clima è di queste ultime.

L’involuzione della politica può avvenire per due vie: la prima è un eccesso di tecnocrazia centralista che delegittima la competizione elettorale; la seconda è un eccesso di competizione per il consenso immediato che distoglie lo sguardo dal bene comune. Non ci sono assolutismi nella convivenza civile: alla fine l’equilibrio dei poteri resta una strada essenziale, ma va ampliato. La costituzione è fatta in modo da non dipendere soltanto dalle maggioranze elettorali ed è protetta dai cambiamenti unilaterali, sicché in qualche modo è adatta a salvaguardare le scelte che servono al bene comune. La costituzione prevede l’obbligo di non abbandonare l’equilibrio del bilancio pubblico. E con le recenti modifiche, introdotte nel febbraio scorso, vieta di compiere scelte che aumentano le emissioni di CO2. Il sentiero per uscire dalla crisi internazionale è stretto. Ma è chiaro.

E un impegno italiano all’interno potrebbe diventare un esempio anche a livello europeo. Giungendo a coinvolgere la Commissione. E magari a ispirare la BCE, che potrebbe in parte uscire dalla logica di colpire l’inflazione con tassi di interesse applicati senza distinzione a qualsiasi utilizzo del denaro: non è difficile, tecnicamente, distinguere, e aiutare i Paesi che compiono scelte coraggiose per la transizione energetica.

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