Futuro

Niente più acqua frizzante?

A causa dei costi di produzione e di altri fattori, l’anidride carbonica da destinare alle industrie alimentari scarseggia. Forse, quest’estate dovremo fare a meno di molte bevande gassate
Credit: David Clode/unsplash
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
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11 luglio 2022 Aggiornato alle 12:00

Se vi piacciono le bollicine per voi potrebbero prospettarsi tempi duri. No, non stiamo parlando dello Champagne ma dell’acqua e delle bevande gassate, la cui produzione in questo momento in Italia è a serio rischio.

A lanciare l’allarme è stato Alberto Bertone, fondatore e presidente di Acqua Sant’Anna che senza mezzi termini ha detto che «l’acqua frizzante è finita».

Come se siccità e crisi idrica non bastassero, ecco quindi un’altra emergenza che però, secondo l’imprenditore, non sarebbe legata direttamente all’acqua, che pure scarseggia nelle sorgenti, ma all’anidride carbonica, o CO2, necessaria per creare le bollicine e divenuta praticamente introvabile.

Il patron dell’azienda, che grazie alla produzione di un miliardo e mezzo di bottiglie all’anno è la più grande di acque minerali a livello europeo, ha chiuso gli impianti fino a data da destinarsi e le probabilità che altre industrie lo seguano a ruota è molto alta.

«La difficoltà a trovare l’anidride carbonica per prodotti alimentari si era già presentata alla fine dell’anno scorso ma eravamo riusciti a tamponare quella che in questi giorni si sta riproponendo in forma di vera emergenza, che riguarda tutti i produttori europei. Siamo disperati, è un altro problema gravissimo che si aggiunge ai rincari record delle materie prime e alla siccità che sta impoverendo le fonti», ha spiegato.

A confermare l’emergenza anche Assobibe, l’associazione Italiana Industrie bevande analcoliche, secondo la quale a essere in difficoltà sarebbero soprattutto le piccole e medie imprese.

Ma da dove arriva l’anidride carbonica che viene poi unita ad acqua e bibite per renderle frizzanti e, soprattutto, perché manca?

Anche se di CO2 si sente quasi sempre parlare in termini negativi associati a emissioni e inquinamento atmosferico, in realtà si tratta di un composto atmosferico essenziale perché parte dei cicli biogeochimici naturali. Generata da respirazione cellulare, combustione o decomposizione delle molecole organiche, diventa una minaccia per l’ambiente quando nell’atmosfera la sua presenza è in eccesso, spesso a causa della combustione di fonti energetiche fossili.

Mentre però da un lato se ne combatte l’innalzamento nell’aria, dall’altro la si produce perché necessaria per portare a termine diversi processi in ambito industriale, soprattutto nel comparto alimentare, dove è usata non solo per produrre bevande gassate ma anche nella preparazione dei surgelati e in alcuni processi di conservazione. Le principali aziende produttrici sono Basf, Air Liquide, Linde, Praxair, Messer, che sfruttano fabbriche di bioetanolo o impianti di fertilizzanti che la ottengono come sottoprodotto dell’ammoniaca.

I motivi che hanno portato la CO2 a essere quasi off limits per il settore alimentare sono diversi. Il primo è da attribuire alla pandemia visto che molti ospedali, dove l’anidride carbonica è un bene primario, incrementando notevolmente i propri volumi di lavoro hanno frequentemente avuto bisogni di dosi extra, come conferma lo stesso Bertone: «Le aziende di CO2 ci spiegano che preferiscono destinare la produzione al comparto della sanità».

Oltre alla scelta, ovvia, dei produttori di non lasciare a secco gli ospedali, a generare lo scenario attuale sono stati anche problemi di spostamento, visto che la CO2 deve essere trasportata in bombole pesanti o cisterne refrigerate a -80 C° dalla dispersione molto alta; e quelli legati al caro bollette dell’energia elettrica che, sempre secondo Bertone, avrebbero costretto una grande industria produttiva del ferrerese a stoppare la produzione.

Insomma, stando a quello che si sa fino a ora sembra proprio che una volta esaurite le ultime scorte presenti nei supermercati, già sul piede di guerra in vista dei mancati introiti delle vendite di questa categoria, dovremo accontentarci di un’estate liscia, in attesa che in futuro, forse, qualcosa si sblocchi.

Tuttavia, siccome dalle crisi si dovrebbe sempre imparare qualcosa, anche questa potrebbe rappresentare l’occasione per rivedere il rapporto con l’acqua e virare verso un consumo più consapevole, che limiti a esempio l’uso di bottiglie di plastica.

Secondo un’indagine di Greenpeace del 2021 in Italia si consumano ogni anno circa 11 miliardi di bottiglie in plastica tra acque minerali e bibite. Un dato che non stupisce considerando che siamo i primi in Europa per consumi di minerale procapite e che, come testimoniato dai dati di NielsenIQ riportati nel Mineral Water Monitor di Nomisma, le vendite di acqua minerale nel canale off-trade (ipermercati, supermercati e discount) del nostro Paese sono cresciuti del +6,4% in valore (886 milioni) e del +4,7% in volume nel periodo gennaio-maggio 2022 rispetto allo stesso periodo del 2021.

Invertire la rotta però è possibile, prima che l’acqua si tramuti a tutti gli effetti in un bene di lusso.

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