Ambiente

Gli Usa benedicono le emissioni climalteranti

Con una maggioranza di 6 giudici contro 3, la Corte suprema Usa ha ulteriormente ristretto le capacità dell’ente federale che si occupa della tutela ambientale di regolare le emissioni per le centrali elettriche operative
Credit: Ian Hutchinson/Unsplash
Tempo di lettura 4 min lettura
4 luglio 2022 Aggiornato alle 15:00

Una sentenza negativa per la lotta contro la crisi climatica è arrivata dagli Stati Uniti, dove la Corte suprema americana ha deciso di limitare i poteri dell’Environmental Protection Agency (EPA), l’ente federale che si occupa della tutela ambientale.

Esaminando un’azione legale portata avanti dallo stato del West Virginia (dove veniva sostenuto che l’EPA non ha l’autorità necessaria per regolamentare il settore energetico dei singoli Stati o delle singole centrali), con una maggioranza di 6 giudici contro 3 la Corte ha ulteriormente ristretto le capacità dell’ente di regolare le emissioni per le centrali elettriche operative.

«Può essere una sensata “soluzione alla crisi odierna” limitare le emissioni carboniche a un certo livello, spingendo la transizione nazionale ad abbandonare il carbone nella produzione elettrica. Ma non è plausibile che il Congresso abbia dato all’EPA l’autorizzazione ad adottarla nei propri regolamenti», ha scritto nella sentenza il presidente della Corte suprema John G. Roberts. Immediate le proteste fra gli ambientalisti e i democratici, con il presidente Joe Biden che ha affermato: «Un’ulteriore devastante decisione che mira a riportare indietro il nostro Paese».

Con questa sentenza i già deboli piani di mitigazione perseguiti dall’amministrazione democratica potrebbero subire notevoli rallentamenti, fra cui quello che prevede di portare la nazione verso il 100% di energia elettrica a zero emissioni di CO2 entro il 2035.

Con i limiti imposti all’azione dell’EPA, i vari Stati a guida repubblicana, così come numerose compagnie energetiche e minerarie, avranno meno vincoli nelle emissioni e nell’inquinamento ambientale. Una situazione che sta dividendo ampiamente il mondo economico, dove le compagnie hi-tech della Silicon Valley spingono per la decarbonizzazione, e il mondo politico.

Da tempo Biden si trova in balia di un Congresso bloccato, dove alcuni membri del Partito Democratico, come Joe Manchin e Kyrsten Sinema, hanno posto numerosi veti all’agenda climatica del presidente. Inoltre, complici la crisi energetica in corso e la competizione geopolitica globale, lo stesso governo sta autorizzando nuove licenze di esplorazione e utilizzo delle risorse fossili nel Golfo del Messico e in Alaska, minando ulteriormente la situazione ambientale.

Una deriva che allontana sempre di più gli Stati Uniti, prima nazione al mondo per emissioni a livello pro-capite, dal sentiero perseguito invece dall’Unione Europea. La quale sta progressivamente implementando l’ambizioso pacchetto Fit for 55”, facente parte del Green Deal europeo, che prevede il taglio delle emissioni pari al 55% entro il 2030 e il raggiungimento della neutralità carbonica nel 2050.

Nonostante diverse difficoltà e il tentativo di vari governi, fra cui quello italiano, di prorogare al 2040 lo stop alla vendita delle auto diesel e benzina, alla fine un compromesso è stato raggiunto per mantenere gli obiettivi prestabiliti.

Se da una parte le nazioni europee mirano a diventare l’esempio guida per il mondo nel campo della mitigazione climatica, dall’altra parte le mosse sbagliate degli Stati Uniti potrebbero produrre un effetto negativo per l’intero Pianeta: «Decisioni come queste negli Usa o in altre grandi economie inquinanti rendono più difficile il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi per un sano e vivibile pianeta», ha dichiarato il portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarric.

Leggi anche