(Joshua Coleman/unsplash)
Futuro

Femtech: il settore innovativo dalla parte delle donne

Un mercato in forte crescita - nell’ultimo trimestre del 2021 ha raggiunto 14 miliardi di dollari di investimenti - che raggruppa aziende produttrici di software, prodotti e servizi impegnate a incentivare la salute e il benessere femminili
di Elena Esposto
Tempo di lettura 8 min lettura
21 giugno 2022 Aggiornato alle 09:00

Fu Aristotele, nel terzo secolo a.C, a definire lo status della donna per la scienza medica, definendo il corpo femminile semplicemente come un corpo maschile “al rovescio”, con i genitali ritratti.

Fu solo nel XVII che le ovaie si meritarono un nome tutto loro. Fino a quel momento erano state considerate come dei testicoli interni, così come l’utero altro non era che il corrispettivo femminile dello scroto.

Il corpo femminile, dunque, veniva definito solo in relazione difettiva a quello maschile, un corpo anomalo, che si discostava dalla norma, a cui mancava qualcosa per essere completo.

Dai giorni in cui Aristotele insegnava e passeggiava per l’Acropoli sono passati un paio di millenni, eppure la scienza non sembra avere fatto grossi passi avanti per quanto riguarda il riconoscimento della specificità di corpi maschili e femminili. Storicamente le donne sono state escluse e oppresse nella sfera politica, economica ed educativa, e anche la medicina non ha fatto eccezione. In questo campo, il dominio degli uomini si è concretizzato nell’utilizzare il corpo maschile come modello di default.

Come scrive Caroline Criado-Perez nel saggio Invisible women: Esposing Data Bias in a World Designed for Men (Invisibili. Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano, Einaudi 2020), “Per secoli e secoli si è pensato che il corpo maschile e quello femminile differissero soltanto per dimensioni e fisiologia riproduttiva: la scienza medica si è concentrata su un’ipotetica ‘norma’ maschile, etichettando come ‘atipico’ o persino ‘abnorme’ tutto ciò che non rientrava in quei parametri. […] Nei rari casi in cui si accenna alle donne, si tende a presentarle come una sorta di deviazione dallo standard umano”.

L’aver considerato per così tanto tempo quello maschile come il corpo “per antonomasia” ci porta oggi ad avere gravi lacune di dati e ricerche scientifiche che riguardano le donne. Sappiamo pochissimo, per esempio, degli effetti su cellule e tessuti femminili di certe terapie, sostanze stupefacenti o vaccini. Ancora meno sono i dati relativi alle donne in gravidanza, dal momento che vengono sistematicamente escluse dai test clinici.

Secondo uno studio del British Journal of Clinical Pharmacology, sono donne solo il 22% dei soggetti che vengono sottoposti al test di farmaci in fase 1, quella in cui si testa la sicurezza clinica. Questo non soltanto le espone al rischio di effetti collaterali non contemplati, ma porta anche all’esclusione di eventuali principi attivi che potrebbero dimostrarsi validi.

Sempre secondo Criado-Perez: “La reazione avversa più comune nelle popolazioni femminili è l’assenza di effetti, anche quando il farmaco funziona benissimo per gli uomini. E chi può sapere quanti farmaci che funzionerebbero [corsivo nell’originale] sulle donne vengano scartati già in fase 1 per la semplice ragione che non hanno alcun effetto sugli uomini?”.

Oltre ai farmaci, l’altro ambito in cui la mancanza di dati di genere mina il diritto alla salute delle donne è la diagnostica. Non è infrequente, infatti, che le donne mostrino sintomi non corrispondenti a quelli da manuale (tarati sulla risposta fisiologica dei maschi) e che quindi incappino in errori diagnostici o terapie inefficaci, quando non addirittura dannose.

Per non parlare poi di tutte le malattie e i disturbi specificamente femminili sulle quali la ricerca è assente o molto carente come a esempio l’endometriosi, patologia di cui secondo l’Onu soffrono 150 milioni di persone in tutto il mondo. a oggi, non è stata ancora trovata una cura e si stima che il tempo medio per ricevere una diagnosi accurata oscilli tra i sei e gli otto anni a seconda dei Paesi.

A tentare di colmare le lacune del mondo scientifico, come talvolta accade, è stato il mercato. Ricercatorə, scienziatə, espertə di tecnologia e imprenditorə sono statə in grado leggere e interpretare il bisogno delle donne di avere accesso a strumenti che garantiscano il diritto alla salute e al benessere, e hanno saputo rispondervi.

Negli ultimi anni è cresciuto esponenzialmente il numero di imprese e start-up che offrono servizi di questo genere. Sono le cosiddette femtech, aziende produttrici di software, prodotti e servizi che utilizzano le nuove tecnologie per concentrarsi sulla salute e il benessere delle donne.

FemTech Analytics, che si occupa di raccogliere e analizzare dati e creare report su questo segmento del mercato dell’innovazione, conta oggi sulla scena globale più di 1300 aziende che hanno investito sulla salute delle donne, la maggior parte concentrate negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Israele, India e Canada.

In Italia, secondo il database, sono solo due le aziende che operano in questo settore, la Corion Biotech, una compagnia piemontese che sviluppa innovativi percorsi di cura nei casi di preeclampsia e di tumore alle ovaie e al seno, e OvAge che ha sviluppato il primo strumento che consente di misurare con accuratezza l’età ovarica permettendo così alle donne una migliore pianificazione delle gravidanze.

Il mercato è in forte crescita e in totale gli investimenti nelle femech alla fine dell’ultimo trimestre del 2021 ammontavano a 14 miliardi di dollari. L’economia di mercato tende a premiare chi arriva primə, e l’aumento del capitale destinato a queste aziende ha attirato l’attenzione di altri investitori privati, tanto che nel 2021 i venture capital nelle femecth hanno superato per la prima volta il miliardo di dollari.

Il settore in cui le aziende che operano nelle femtech sono più attive è quello della gravidanza e dell’allattamento. I servizi offerti includono test di gravidanza di facile reperibilità e utilizzo, l’accompagnamento delle donne durante la gestazione con consulti medici, corsi, fitness, e dopo il parto, per affrontare ogni evenienza che si possa presentare, dalla depressione, alle emorragie, alla gestione dell’allattamento e l’aiuto nella cura del bambino.

Un ruolo importante è svolto in questo ambito dalle piattaforme che hanno l’obiettivo di collegare le donne alle prese con la maternità per favorire gli scambi di informazioni e il sostegno reciproco.

Un altro importante ambito di investimento è quello della contraccezione e della salute riproduttiva, con un’attenzione particolare alla salute mestruale. Secondo il Journal of Global Health Reports sono 500 milioni le persone nel mondo che non hanno accesso a prodotti mestruali o a un adeguato livello di igiene.

La mancanza di acqua e prodotti per lavarsi o la disponibilità di acqua non pulita può essere causa di infezioni batteriche che sono la causa principale di problemi alla salute e infertilità.

Una delle aziende che hanno cercato di rispondere a questo problema è la danese Real Relief, la creatrice di Safepad, un assorbente lavabile e riutilizzabile fatto di uno speciale tessuto antimicrobico composto di silicio e carbonio che elimina completamente gli elementi patogeni anche se lavato in acqua inquinata.

Oltre ai prodotti di consumo, le femtech includono lo sviluppo di dispositivi, software e app che consentono di gestire e monitorare i più disparati aspetti della salute femminile. Grace Cooling, per esempio, ha creato un dispositivo indossabile come un braccialetto che raccoglie dati sulle vampate di calore della menopausa con l’ottica di contrastarle. Attraverso l’app le donne possono tenerne traccia e attraverso i dati storici il dispositivo impara a riconoscerle e a prevenirle azionando un meccanismo rinfrescante.

Come dicevamo prima, molto importanti sono le app e le piattaforme che forniscono supporto umano e psicologico alle neo mamme, ma attraverso un semplice smartphone è possibile anche ricevere informazioni sulla salute sessuale, monitorare il ciclo mestruale o l’ovaio policistico, ottenere una consulenza a distanza, ordinare anticoncezionali in modo discreto, trovare il consultorio più vicino, pianificare le gravidanze e raccogliere dati, per colmare finalmente la lacuna di genere.

La messa a disposizione di servizi attraverso internet deve però tenere conto del divario digitale, ovvero della disuguaglianza nell’accesso alle tecnologie informatiche. A livello globale, ben il 53% della popolazione non possiede un dispositivo collegato a internet. Il divario digitale si sovrappone a quello di genere e, nonostante negli ultimi anni il primo si sia ridotto, sono ancora molte le donne che non hanno la possibilità di accedere ai servizi informatici.

Secondo quanto riportato da Joni Seager in The women’s atlas (L’atlante delle donne, Add 2018), a eccezione del continente americano (dove battono gli uomini 67% a 65%), nel resto del mondo la percentuale di donne che utilizza internet è sensibilmente più bassa rispetto a quella della loro controparte maschile. Questa sarà sicuramente una sfida da tenere presente per chi vorrà investire nelle femtech nel prossimo futuro.

E a proposito di investimenti, secondo FemTech Analytics il futuro del settore si prospetta roseo. Sono sempre di più le aziende che sono in grado e desiderano raccogliere le richieste e i bisogni delle donne per poterli sfruttando le innovazioni tecnologiche e questo crea ottime opportunità di espansione del mercato.

Il fatto che capitali privati vengano destinati a questo tipo di beni e servizi è sicuramente un’ottima notizia, ma non dobbiamo perdere di vista il fatto che il capitale e il mercato seguono i profitti, mentre il diritto alla salute e al benessere deve essere garantito a prescindere dal guadagno che se ne può ricavare.

È auspicabile dunque che l’accesso a questi beni e servizi possa venire assicurato nel lungo termine nel modo più egualitario possibile per evitare che si trasformi in un ulteriore elemento di discriminazione, e che sempre più risorse vengano destinate alla ricerca medica per colmare la lacuna dei dati di genere.

Insomma non solo nel mercato ma anche nel settore pubblico e nella ricerca scientifica. Come scrive Criado-Perez, “è ora di smettere di trascurare le donne, e di cominciare a curarle.”

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