Ambiente

Non scordiamoci degli abissi

Sono stati esplorati meno dello spazio, ma ospitano un’incredibile quantità di vita. Nella giornata mondiale che li celebra, nuove tecnologie e animali ci portano a scoprire le profondità degli oceani
Credit: Willian Justen de Vasconcellos/unsplash
Tempo di lettura 4 min lettura
8 giugno 2022 Aggiornato alle 07:00

Che c’è laggiù? Chi ci vive e cosa accade nel buio? Come stanno gli abitanti di un mondo che non conosciamo? Domande sul mare che continuano a rimanere irrisolte ma che pian piano stanno trovando, grazie ai nuovi animali “esploratori”, le prime risposte.

Dell’oceano conosciamo ancora pochissimo (meno del 20% di quello che c’è nelle sue profondità) e ancor di più degli abissi, per noi meno noti perfino dello spazio. Conoscere (e potenzialmente proteggere) le specie e gli abitanti delle profondità marine è dunque una missione che interessa sempre più scienziati.

In occasione della Giornata mondiale degli Oceani, che si celebra l’8 giugno e quest’anno è dedicata alla “Rivitalizzazione: un’azione collettiva per l’oceano”, è doveroso gettare uno sguardo anche su tutto ciò che degli oceani non conosciamo affatto.

A migliaia di metri sotto la superficie c’è infatti un mondo di specie che sono state in grado di adattarsi, che vivono in zone buie, quasi senza ossigeno e una pressione enorme; una serie di creature meravigliose e per noi decisamente inimmaginabili ma che presto - anche a a causa della crisi climatica e gli effetti delle nostre azioni - potrebbero aver bisogno di aiuto.

Per comprendere meglio cosa accade laggiù l’esplorazione oceanica sta facendo, oltre ai Rov e i robot che scendono negli abissi, progressi giganteschi e nuove scoperte anche grazie a una serie di alleati inusuali: animali dotati di telecamere e sistemi di registrazione.

Sul sito Knowable alcuni scienziati, come l’ecologo Simon Thorrold della Woods Hole Oceanographic Institution nel Massachusetts, hanno raccontato alcuni dei segreti di queste nuove missioni: per esempio applicare agli squali balena, i più grandi pesci del mondo, tag satellitari e mini telecamere prima che si immergano a migliaia di metri mostrandoci cose mai viste prima, oppure dotare di nuovi sensori le tartarughe, o ancora l’elefante marino settentrionale.

Oltre la zona crepuscolare c’è davvero un “pianeta” impensabile: ecco che compaiono organismi bioluminescenti, altri che si sono adattati a evitare la decompressione, altri ancora che hanno sviluppato sistemi di scambio termico per sopravvivere. Sembrano quasi alieni usciti dalla fantascienza.

Biologi ed esperti continuano a chiedersi però come mai la vita si sia sviluppata perfino laggiù, in condizioni così sfavorevoli, e perché molte specie si spingono a tali profondità. In molti casi, anche osservando il materiale fornito dagli animali “esploratori”, la risposta è per il cibo e abbiamo prove di predatori che per questo motivo toccano profondità inimmaginabili.

La maggior parte preda tra i 200 e i 1000 metri, ma diverse altre specie arrivano decisamente più in basso. Altre teorie portano a pensare che quelle zone - a causa di un uomo che in superfice con le sue azioni, dalla sovrapesca agli inquinanti sino ai rumori, minaccia le specie - si spingano a “vivere” in zone rifugio lontane da noi.

Così squali, pesci spada, tonni, tartarughe, balene, foche raggiungono sempre più profondità a noi poco note: alcune balene del becco di Cuvier arrivano anche a sfiorare i 3000 metri.

Fino al diciannovesimo secolo si pensava che sotto i 500 ci fosse pochissima vita, ma le nuove tecnologie nel tempo hanno dimostrato il contrario: c’è una incredibile biomassa che fa gola a tante altre specie. Gli studi di Thorrold e colleghi, che hanno applicato tag a squali balene ma anche mobule oppure a pesci spada, sono lunghi e complessi (così come è difficilissimo applicare tag satellitari o telecamere su questi animali) ma stanno aiutando a comprendere meglio le dinamiche degli abissi.

Per esempio hanno scoperto che le Chilean devil ray (Mobula tarapacana) riescono a spingersi a quasi duemila metri di profondità perché attratti dal cibo. Grazie ai sonar, altri esperti si sono invece resi conto che i globicefali cacciano a mille metri i calamari, oppure di come si comportano gli elefanti marini.

Le immersioni di questi “esploratori” hanno svelato a noi un mondo, in termini di prede e biomasse, impensabile fino a pochi anni fa per quantità. «Anche con la tecnologia che è disponibile negli ultimi 20 anni c’è ancora tantissimo da scoprire», ha raccontato Thorrold.

Allo stesso tempo però gli esperti sono convinti che le fish-cam di nuova generazione, i sistemi bioacustici e satellitari, le micro telecamere da applicare su varie specie e gli impianti dotati di speciali sistemi di illuminazione, progrediranno talmente rapidamente da offrirci due possibilità: una di scoprire davvero cosa c’è la sotto e l’altra, se necessario, di fornirci le conoscenze necessarie per proteggere questo tesoro da eventuali altre azioni nocive dell’uomo.

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