Pomodoro italiano sotto assedio: il 2025 sarà l’anno della svolta? Cambia tutto

Pomodori maturi sulla pianta (canva) Lasvolta.it
Tra speranze produttive e minacce climatiche, il pomodoro italiano affronta un 2025 cruciale. In gioco c’è molto più di un semplice raccolto.
Un frutto rosso al centro di una sfida nazionale. Simbolo del Mediterraneo, bandiera del Made in Italy, protagonista della tavola. Di cosa si tratta?
Parliamo del pomodoro italiano è molto più di un ortaggio: è un pilastro economico e culturale. Un prodotto che potrebbe venire a mancare sulle tavole italiane.
Eppure, il 2025 si apre con luci e ombre su questo settore chiave dell’agroalimentare. Un’intera economia a rischio per quanto riguarda l’agricoltura.
Tra clima impazzito, costi in salita e concorrenza straniera, la campagna di raccolta è decisiva. Ecco cosa sta succedendo.
Il pomodoro, identità e risorsa dell’Italia agricola
Il pomodoro da industria non è solo un ingrediente essenziale nelle cucine italiane, ma rappresenta una delle colture più strategiche per l’intero comparto agricolo nazionale. Si coltiva lungo tutta la Penisola, con epicentri produttivi ben noti: la Capitanata in Puglia, il Nord Emilia, il Casertano e l’area vesuviana in Campania. La sua presenza è costante in ogni stagione e in ogni angolo del Paese: dal sugo della nonna alla passata sul pane, fino ai trasformati che viaggiano in tutto il mondo.
Ma oltre alla narrazione romantica, ci sono i numeri a parlare: 7.000 aziende agricole coinvolte, 100 imprese di trasformazione, oltre 10.000 addetti, un giro d’affari da 5 miliardi di euro. Una filiera vitale, fatta di competenze tecniche, lavoro stagionale, tradizione e innovazione. Eppure, come ogni struttura vitale, anche questa è esposta a vulnerabilità. Un cattivo raccolto, un’improvvisa ondata di calore, o la concorrenza sleale possono mettere in crisi tutto. Il 2025, in questo senso, si annuncia come un anno di transizione delicata, forse decisiva.

Speranze di crescita, ma il clima e i costi fanno tremare la filiera
Le stime del World Processing Tomato Council, rielaborate da Coldiretti, parlano di un possibile aumento del 5% della produzione di pomodori da industria rispetto al 2024, toccando quota 5,6 milioni di tonnellate. Un segnale incoraggiante, ma che poggia su un equilibrio estremamente instabile. La variabilità climatica, infatti, resta la prima grande incognita. Se nel Sud, specie in Puglia e in provincia di Foggia, la siccità ha già ridotto le superfici coltivate, al Nord le piogge primaverili hanno reso i terreni poco adatti alla coltivazione, seguite poi da un caldo improvviso che ha frenato la fioritura.
Le uniche zone con un bilancio per ora positivo sono in Campania, dove il clima è stato più favorevole e ha permesso di mantenere in salute anche le pregiate DOP, come il San Marzano e il Pomodorino del Piennolo. Ma è un’eccezione, non la regola. Oltre al clima, c’è l’aumento vertiginoso dei costi di produzione: carburanti, fertilizzanti, manodopera e acqua hanno raggiunto livelli preoccupanti. Le aziende più piccole, già fragili, rischiano di non reggere l’urto. A questo si aggiunge la concorrenza estera, con la Cina che esporta grandi quantità di concentrato di pomodoro a prezzi impossibili da pareggiare. Una dinamica che schiaccia la competitività italiana e alimenta una guerra silenziosa sui banchi di supermercati e piattaforme globali.