Amnesty International: gli studenti cinesi sono sotto sorveglianza

Nel nuovo rapporto “On my campus, I am afraid” (Nel mio campus, ho paura),AmnestyInternationalha raccolto una serie di testimonianze distudenti e studentesse originari della Cinache avrebbero subito, da parte di Pechino,una repressione transnazionale durante gli studi universitari all’estero, in Europa e Nord America. Secondo i loro racconti, sarebbero stati fotografati e seguiti durante delle proteste nelle loro città ospitanti, mentre le famiglie in Cina venivano prese di mira eminacciate dalla polizia per via del loro attivismo. Quando la studentessa cinese Rowan (nome di fantasia) ha partecipato a una commemorazione della repressione di piazza Tienanmen del 1989, suo padre è stato contattato dai funzionari della sicurezza di Pechino: gli è stato detto di “educare sua figliache studia all’esteroa non partecipare a nessun evento che possa danneggiare la reputazione della Cina nel mondo”. Durante la manifestazione, Rowan non aveva condiviso il suo vero nome con nessuno, né scritto qualcosa online sul suo coinvolgimento, quindi è rimasta scioccata dalla velocità con cui i funzionari cinesi l’hanno identificata come partecipante e poi hanno localizzato e contattato suo padre. Il messaggio, secondo Rowan, era chiaro: «Sei osservato e, anche se siamo dall’altra parte del pianeta, possiamo ancora raggiungerti», ha detto aAmnesty. In quella che la Ong definisce “la documentazione più ampia mai realizzata finora sulla repressione transnazionale del governo cinese nei confronti delle università straniere”, che in tutto il mondo ospitano circa900.000 studenti e studentesse cinesi,Amnesty Internationalha condotto interviste approfondite con32 di loro, di cui 12 provenientida Hong Kong, che studiano in università presenti in Belgio, Canada, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. Secondo il rapporto, vivrebberonel timore di intimidazioni, molestie e sorveglianzamentre “le autorità cinesi cercano di impedire loro di impegnarsi su questioni “delicate” o politiche mentre si trovano all’estero”. Per impedire agli studenti di criticare il governo cinese o le sue politiche dall’estero, i funzionari cinesihanno molestato i loro familiari nella Cina continentalerevocando loro i passaporti, licenziandoli, impedendo loro di ricevere promozioni e benefici pensionistici, o addirittura limitando la loro libertà fisica. Sarebbe accaduto ai parenti diquasi un terzo degli studenti intervistati. In almeno tre casi, poi,la polizia cineseavrebbe anche esercitato pressioni o dato istruzioni affinché tagliassero il sostegno finanziario ai loro figli per costringerli al silenzio. Quasi la metà, tra cui Rowan, ha detto di essere statafotografata o registrata in occasione di eventida parte di individui che credevano agissero per conto dello Stato. Sarah Brooks, direttrice diAmnesty Internationalper la Cina, ha dichiarato che «l’assalto delle autorità cinesi all’attivismo per i diritti umani si sta manifestando nei corridoi e nelle aule delle numerose università che ospitano studenti cinesi e di Hong Kong. L’impatto della repressione transnazionale della Cina rappresentauna seria minaccia al libero scambio di ideeche è al centro della libertà accademica, e i governi e le università devono fare di più per contrastarlo». Molti studenti cinesi all’estero, spiegaAmnesty, hanno preso parte a manifestazioni pubbliche critiche nei confronti del governo cinese, comprese le proteste del “White Paper” del 2022 nella Cina continentale, le proteste pro-democrazia del 2019 a Hong Kong e le commemorazioni annuali della repressione di Piazza Tiananmen del 1989 a Pechino. Queste attività, secondo il rapporto, avrebbero attirato l’attenzione delle autorità cinesi, ma anche ripercussioni che si traducono nel fenomeno dellarepressione transnazionale: “azioni del governo volte a mettere a tacere, controllare o scoraggiare il dissenso e le critiche da parte dei cittadini all’estero, in violazione dei loro diritti umani”. Quasi tutti gli studenti intervistati hanno affermato di essersiautocensuratimentre si trovavano all’esteroper paura di ritorsionida parte delle autorità cinesi. La maggioranza ha riferito di averlimitato la propria partecipazionein classe a causa del rischio percepito di essere segnalati alle autorità statali cinesi, e un terzo ha detto di avercambiato il focus dei loro studio abbandonato interamente la carriera accademica. Gli intervistati provenienti da Hong Kong hanno affermato che le leggi repressive della città,tra cui l’articolo 23promulgato di recente, hanno esacerbato le loro paure perché queste leggi possono essere utilizzate per prendere di mira persone in qualsiasi parte del mondo.Amnesty Internationalchiede ai governi e alle università ospitanti di fare di più per proteggere chi è vittima della repressione transnazionale di Pechino: “Gli 8 Paesi descritti in questo rapporto, e i molti altri che ospitano studenti cinesi e di Hong Kong, hanno l’obbligo di proteggere gli studenti internazionali sotto la loro giurisdizione”.