Arabia Saudita: attivista per i diritti delle donne condannata a 11 anni di carcere

Manahel al-Otaibi,attivista per i diritti delle donne, è statacondannatada un tribunale antiterrorismo a11 anni di carcere in Arabia Sauditaper accuse legate alle suescelte di abbigliamentoe all’espressione delle sueopinioni online,diceAmnesty International, che a febbraio di quest’anno aveva denunciato il suo arresto e la sua sparizione forzata. L’arresto è avvenuto a novembre 2023 ed è stato l’ennesimo di una serie di atti dicensuranei confronti di attiviste impegnate per i diritti umaniche hannocriticato il Governo saudita. Durante il processo, Manahel al-Otaibi è stata accusata di averpubblicato su Snapchat un selfie in cui non indossava l’abaya(l’abito tradizionale saudita), averpostato contenuti a favore dei diritti delle donnee aver chiesto l’annullamento delle leggi che stabiliscono la tutela maschile sulle donne usando l’hashtag#EndMaleGuardianship.In Arabia Saudita, infatti, è ancora in vigore il “sistema del guardiano” che impone alle donne di dipendere da un tutore maschile con la funzione di “protettore”. Sua sorella Fawzia al-Otaibi deve affrontare accuse simili, ma è fuggita dal Paese temendo l’arresto dopo essere stata convocata per un interrogatorio nel 2022. Oggi, secondoAmnesty International, Fawzia vive nel Regno Unito e non può tornare in Arabia Saudita, dove verrebbe arrestata per “aver diretto una campagna di propaganda per istigare le donne saudite a denunciare i principi religiosi e a ribellarsi contro usi e costumi della cultura saudita”, avendo usato l’hashtag #society_is_ready per “promuovere la liberazione e la caduta del sistema del tutore maschile”. I diplomatici sauditi hanno fatto sapere alle Nazioni Unite che la 29enne Manahel al-Otaibi, attivista e istruttrice di fitness, è stata giudicata colpevole di reati di terrorismo il 9 gennaio di quest’anno, ma il verdetto è stato rivelato pubblicamente solo dopo la richiesta di informazioni in una comunicazione congiunta dei relatori speciali dell’Onu. Secondo la letteradi riposta, la corte saudita l’ha ritenuta colpevole di“reati di terrorismo”ai sensi degli articoli 43 e 44 della legge antiterrorismo, che stabiliscono che il reato può riguardare“qualsiasi persona che crea, lancia o utilizza un sito web o un programma su un computer o un dispositivo elettronico per commettere [un reato di terrorismo]”e “qualsiasi persona che, con qualsiasi mezzo, trasmette o pubblica notizie, dichiarazioni, voci false o malevole o simili”. “Il governo – si legge ancora nella lettera – desidera sottolineare il fatto che l’esercizio e la difesa dei diritti non sono un crimine secondo la legge saudita; tuttavia,giustificare le azioni dei terroristi descrivendoli come esercizio o difesa dei diritti è inaccettabilee costituisce un tentativo di legittimare i crimini terroristici”. Bissan Fakih, attivista diAmnesty Internationalper l’Arabia Saudita, ha commentato la condanna: «Rappresenta un’ingiustizia spaventosa e crudele. Dal momento del suo arresto, le autorità dell’Arabia Saudita l’hanno sottoposta a una serie incessante di abusi, dalla detenzione illegale per aver sostenuto i diritti delle donne alla sparizione forzata per oltre 5 mesi mentre veniva segretamente interrogata, processata, condannata e sottoposta a ripetuti pestaggi da parte di altri in prigione».