Social e piattaforme: cos’è la teoria dell’Enshittification?

C’era una volta un tempo in cui ci collegavamo ai social network per goderci piccoli spazi di vita altrui e rimanere aggiornati sulle vite dei nostri contatti. Quel periodo sembra ormai preistoria: oggi navigare sui social media significa intravedere ogni tanto, tra icontenuti sponsorizzati, qualche post che ci interessa davvero. Il senso di rabbia e di frustrazione che ci coglie quando ci rendiamo conto di ciò è espresso perfettamente daltermine coniato dal giornalista canadese Cory Doctorow:Enshittification(in italiano, “Merdificazione”). “Stiamo passando attraverso una fase di grandissimaEnshittificatione tutti i servizi che ci interessano e sui quali contiamo si stano trasformando in gigantesche montagne di merda. È frustrante. Demoralizzante. Spaventoso”, scrive Doctorow sulFinancial Times. La Merdificazione è un processo che si articola in 4 fasi.Fase uno: l’azienda o la piattaforma digitale investe molti soldiper creare un servizio che, con la promessa di essere utile, interessante, e migliore di altri, attiri gli utenti. Esattamente come fece Facebook nel 2006, quando scalzòMySpaceassicurando ai suoi iscritti più privacy. Facebook riuscì nell’impresa e, sfruttando il cosiddetto effetto rete, diventò il social che oggi conosciamo. “Ci siamo uniti a Facebook perché i nostri amici erano lì – spiega Doctorow – e poialtre persone si sono iscritte perché c’eravamo noi”. Una volta consolidato, il meccanismo chiude gli utenti in una trappola senza scampo. Mollare le piattaforme in questa fase diventa infatti praticamente impossibile. Individualmente potremmo anche decidere di andare altrove ma ci troveremmo irrimediabilmente soli. “È difficile far fare una cosa a tante persone nello stesso momento – scrive Doctorow -Così gli utenti di Facebook si trovarono nelle condizioni di tenersi ostaggio a vicenda e restare incollati alla piattaforma.” Nel momento in cui le piattaforme digitali si assicurano che non siamo in grado di abbandonare la rete nella quale siamo inseriti (o caduti?) può iniziare lafase due: sottrarre valore agli utenti per offrire vantaggi a inserzionisti ed editori.Prendiamo il caso studio di Facebook, quello analizzato da Doctorow. “Agli inserzionisti Facebook disse: vi ricordate quando abbiamo assicurato a quei babbei che non li avremmo spiati? Lo facciamo. E siamo anche disposti a vendervi i loro dati sotto forma ditargettizzazione mirata per i vostri annunci.[…] E agli editori disse: ricordate quando abbiamo detto a quei babbei che avremmo mostrato loro solo quello che desideravano vedere? Ecco, no. Dateci piccole porzioni di testi tratti dai vostri siti, aggiungeteci i link e li useremo perinondare le bacheche di chi non ha mai chiesto di vederli.Vi offriamo traffico gratis per far arrivare milioni di utenti ai vostri siti, che poi potrete monetizzare come vi pare e piace.” Praticamente un’offerta che non si può rifiutare. E così anche inserzionisti ed editori finiscono per incatenarsi alle piattaforme che, a questo punto, possono passare allafase tre: fregare tutti a vantaggio dei propri azionisti.Questo è lo stadio in cui noi utentivediamo praticamente soltanto contenuti sponsorizzatiche inserzionisti ed editoripagano cifre astronomiche,senza ricevere garanzie che vengano effettivamente visti dal target giusto e che raramente contengono link esterni. Contenuti, insomma, chebeneficiano esclusivamente la piattaforma. Entriamo quindi nellaquarta fasedellaEnshittification. Da un lato la piattaforma sembra aver vinto: si tiene tutto il surplus e a noi lascia le briciole, quanto basta per tenerci incatenati a un servizio che ormai fa schifo, e lo sappiamo. Dall’altro però, avverte Doctorow, l’equilibrio è precario.Basta poco perché l’effetto rete si rivolti contro chi lo ha creato. Perché se fino a questo momento nessuno se ne è andato perché tutti restavano,nel momento in cui tutti iniziano ad andarsene la fuga di massa è assicurata.A quel punto il gioco finisce e l’azienda crolla. Ma come siamo arrivati a una situazione così “merdificata”? Doctorow identifica 4 cause principali. In primis l’erosione del principio della concorrenzae del libero mercato, e la conseguente messa fuori gioco della legge e della regolamentazione. Con la spinta neoliberista iniziata negli anni ‘80, l’impegno dei Governi nel garantire la concorrenza in diversi settori è andato scemando, e si è preferito“adottare la cosiddetta dottrina del ‘benessere dei consumatori’,secondo la quale i monopoli garantivano più qualità.Se tutti acquistavano lo stesso prodotto nello stesso negozio significava per forza che quello era il miglior negozioche vendeva il miglior prodotto, non che qualcuno stava barando”. Una diretta conseguenza dell’accentramento del potere economico nelle mani di pochi è che a quel punto è difficilissimo fermarli se decidono di fare di testa loro. Per i Governi, o le autorità sovranazionali,diventa quasi impossibile perseguire le grandi aziendeche oltre a esseretoo big to fail, troppo grandi per fallire, diventano anchetoo big to jail, troppo grandi per finire in prigione. Una volta neutralizzato il potere della concorrenza e quello della legge non c’è più niente che protegga gli utenti, i loro dati personali e la loro libertà di scegliere quali contenuti vedere su internet dallo strapotere delle aziende tech. Entra qui in gioco il terzo fattore dellaEnshittification: la messa al tappeto degli strumenti di difesa fai da te. Tutti sappiamo che, se non vogliamo vedere inserzioni o altri contenuti invadenti mentre navighiamo, basta utilizzareAdBlocko software simili. E infatti, dice Doctorow,il 50% degli utenti navigano protetti da un blocco della pubblicità.Il problema, però, è che la maggior parte della nostra attività online avviene sulleappalle qualinon possiamo applicareil blocco della pubblicità senza prima rimuoverne la crittografia, un reato previsto dalla legge per la protezione della proprietà intellettuale e punibile con multe salatissime e diversi anni anni di carcere. I provider di servizi digitali utilizzano questo escamotage per aggirare i nostri tentativi di arrangiarci da soli e così “app diventa un eufemismo per sito web protetto da tanta proprietà intellettuale quanto basta da rendere un reato qualsiasi tentativo di modifica volto a proteggere il diritto del lavoro, dei consumatori e della privacy degli utenti”. Arriviamo così all’ultima contingenza che ha lasciato spazio alla Merdificazione: laperdita di potere contrattuale dei lavoratori.Secondo Doctorow per anni i lavoratori dell’industria tech hanno rappresentato l’ultimo baluardo contro l’avanzata dellaEnshittification. Negli anni infatti le grandi aziende avevano attirato e motivato il loro personale facendo leva su un senso di missione, di obiettivo per rendere il mondo migliore: quando i lavoratori si sentono parte di un progetto del genere diventa più difficile convincerli a “merdificare” tutto quello che hanno creato fina a quel momento. Ora però anche quest’ultimo appiglio è saltato.Il mercato del lavoro nell’industria tecnologica è cambiato e oggi la minaccia di perdere i lavoratoriper aver chiesto loro di fare qualcosa che ritenevano sbagliato o immorale non ha più un ruolo nel controllo dell’operato delle aziende. Arrivati a questo punto, che cosa possiamo fare? Come possiamo fermare l’Enshittificationstrisciante che sta incancrenendo tutto quello che tocca? Per Doctorow l’unica risposta possibile è l’azione di massa. “Se tutti siamo minacciati allora significa anche che tutti abbiamo qualcosa da guadagnare dalla de-merdificazione. E il potenziale di una coalizione anti-merdificazione è enorme. […] Internet non è più importante dell’emergenza climatica, della giustizia di genere e razziale, del genocidio o delle disuguaglianze. Mainternet è il luogo dove portiamo avanti queste lotte. E se internet non è libero, giusto e aperto allora abbiamo perso in partenza. Possiamo invertire il processo di merdificazione. Possiamo fermare la merdificazione di ogni dispositivo tecnologico. Possiamo creare un miglior sistema digitale che resista e sia in grado di coordinare i movimenti di massa di cui abbiamo bisogno”. Per farlo dobbiamo iniziare ora, ma è fondamentale il contributo di tutte e tutti.