Peste suina: cinghiali a rischio abbattimento per salvare i prosciutti

La peste suina africana(Psa)affliggel’Italiada due anni e ora si fa sentire, per esempio, nell’ambito della produzione delprosciutto di Parma. Controi cinghialic’è chi invoca l’esercito e chi l’abbattimento di migliaia di esemplari, come valuta di fare ilFriuli Venezia Giulia, in pensiero peril famoso salume diSan Daniele. Che cos’è la peste suina africana Si tratta diuna malattia virale degli ungulati, che è assolutamente innocua per l’uomo perché non è trasmissibile alle persone ma è altamente letale peri maiali: i ceppi più aggressivi del virus portano gli animali al decesso entro 10 giorni dall’insorgenza dei primi sintomi. Non esistono né vaccini né curee l’elevata capacità di diffusione della patologia comportaconseguenze economicheimportanti per il settore suinicolo. Il problemaè monitoratodalMinistero della Salute: l’Italia adotta dal 2020 annualmente unPiano nazionale di Sorveglianzadella Psa, approvato e cofinanziato dalla Comunità europea, e ha uncommissario straordinarioche si occupa della questione. Qualche mese fa, a esempio, nel Pavese è scoppiato un focolaio di peste suina africana La zona e la produzione di Parma «In provincia di Parma i primi casi sono stati registrati all’inizio del 2024 ed è di alcuni giorni fa la notizia relativa al rinvenimento di una carcassa dicinghialerisultata positiva allaPsanel Comune diVarano de’ Melegari, parte del territorio di produzione delProsciutto di Parma. Questo evento sta generando un considerevole carico di preoccupazioni presso un settore produttivo già estenuato dalla continua minaccia del contagio», ha dichiaratoAlessandro Utini, Presidente delConsorzio delProsciutto di Parma. In queste zone la diffusione del virus riguarda esclusivamente la fauna selvatica,i cinghiali, e non gli allevamenti. Pertanto al momento non ci sono limitazioni alla commercializzazione dei prodotti, ma le imprese temono di subire ulteriori contraccolpi sul piano dell’export extra Ue. «Sin dai primi casi riscontrati nella Penisola a inizio 2022, diversi Paesi -Cina, Giappone, Taiwan, Messico, tra gli altri – hanno intrapreso una politica protezionistica, chiudendo il proprio mercato indistintamente a tutti i prodotti a base di carne suina provenienti dall’Italia – ha spiegatoUtini -Viene da domandarsi quali scenari attendano l’export delProsciutto di Parmaora che il virus è riuscito a insinuarsi nella zona tipica». Occorre precisare che a eccezione di quelle nazioni, che avevano chiuso le loro frontiere già in precedenza, ilProsciutto di Parmacontinua a circolare regolarmente verso le destinazioni d’esportazione: «Le elevate garanzie sanitarie fornite dalla lunga stagionatura del nostro prodotto permettono di mantenere aperti importanti sbocchi per l’export come gliStati Uniti e l’Australia -ha aggiuntoil presidente delConsorzio- L’unico cambiamento di rilievo riguarderà le esportazioni inCanada, Paese verso il quale le aziende produttrici situate in zone di restrizione II – ovvero quelle in cui la Psa è presente nel cinghiale – non potranno più spedire il loro prodotto». Cosa dicono le imprese «Da parte nostra l’auspicio è che tutte le iniziative intraprese dal Ministero della Salute, dal Commissario Straordinario alla Peste Suina Africana, dal Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste e dalle Regioni competenti portino alcontenimento ed eradicazione del virus, e a tutti va l’invito a compiere un ulteriore sforzo per raggiungere al più presto questo fondamentale obiettivo», ha conclusoUtini. In sostanza, sbandierando lo spettro di un eventuale fallimento futuro, le aziende e gli allevatori parlano di “emergenza” e chiedono misure concrete, che ipotizzano l’intervento dei militari e spingono nella direzione dell’abbattimento preventivo dei cinghiali: tra questi ultimi, nella zona diParma, sono stati rilevati 150 casi di contagio e si teme la possibile diffusione del virus trai maiali, anche segli allevamentiper ora sono al sicuro. Cosa dicono le Regioni Dal canto suo, per salvareil Prosciutto San Daniele, ilFriuli Venezia Giuliaappronta un piano di sicurezza sanitaria con cui valuta di eliminare4.000cinghialientro l’anno con l’aiuto di esercito e cacciatori. Per i militari sono già in corso le attività di formazione a riguardo. Manlio Palei, il direttore regionale del Servizio prevenzione, sicurezza alimentare, sanità pubblica e veterinaria, ha spiegato che l’intento è evitare l’ingresso del virus negli allevamenti, perché altrimenti si rischia sia la chiusura del commercio della carne e dei prosciutti per un anno sia il blocco delle esportazioni. È opportuno sottolineare che a orail Friuli, già dotato di un piano di depopolamento delle popolazioni selvatiche, non è intaccato dalla peste suina ma prepara una strategia triennale di interventi, come richiesto daUnione europeaeMinistero della Salute. La delibera relativa alla riduzione della popolazione degli ungulati è stata proposta alla giunta, mentre continuano i controlli sulla diffusione del virus.