Fast fashion: arriva la stretta dalla Francia

 

L’Assemblea Nazionale Francese ha approvato laproposta di legge, “ridurre l’impatto ambientale dell’industria tessile”, presentata a fine febbraio dal partito di centro-destraHorizons, cheprevede una tassa per disincentivare l’acquisto e la vendita di prodotti delle aziende difast fashionin Francia. La legge è composta da tre articoli, il primo dei quali prevede deimessaggi che incoraggino al riuso e alla riparazione dei prodotti,dando informazioni sul loro impatto ambientale, oltre che sul prezzo vantaggioso. Legge che fa eco albonus rammendoapprovato la scorsa estate. Questo articolo infatti si inseriscesulla scia, di più ampio respiro, di altre proposte del governo francese già varate, come la legge anti spreco,anti‑gaspillage, del novembre scorso che ha come caposaldi cinque obiettivi principali: abbandonare la plastica monouso, informare meglio i consumatori, combattere i rifiuti e promuovere il riutilizzo solidale, agire contro l’obsolescenza programmata e migliorare la produzione. Nel secondo articolo della proposta antifast fashionvieneinvece introdotta la tassa secondo il principio deResponsabilité èlargie du Producteur– Rep,principio semplice che impegnachi produce, distribuisce o importa un prodotto, a farsi carico di tutto il ciclo di vita del prodotto, compreso il suo fine vita. Le aziende dovranno quindi pagare un sovraprezzo, per ogni prodotto difast fashion, che crescerà fino al 2023 quando arriverà a 10 euro per prodotto. Il terzo articolo invece riguarda la pubblicità: “è vietata la pubblicità relativa alla commercializzazione di prodotti nell’ambito di una pratica commerciale che prevede collezioni di abbigliamento e accessori a rapida evoluzione”. Quest’ultimo punto si allinea, come scritto nella proposta, alla legge “climat et résilience” che ha giàvietato la pubblicità a favore dei combustibili fossili o delgreenwashing; pertanto, la proposta fa parte “di uno sforzo continuo per allineare il settore pubblicitario ai nostri impegni nazionali (in Francia, europei e internazionali per la protezione dell’ambiente”. Nella proposta si legge esplicitamente “à renouvellement très rapide” e si fa riferimento aicriteri con cui una azienda viene identificata come produttrice di fast fashion, che si basano sulla quantità di vestiti prodotti e sulla velocità di rotazione delle nuove collezioni, due aspetti che hanno un grande impatto sull’ambiente. Nella prima parte del decreto, dove si spiegano le motivazioni della proposta di legge, infatti, si fa riferimento esplicito a una di queste aziende di fast fashion, la cinese Shein, che in media aggiunge7.200 nuovi modelli di vestiti al giornoe mette a disposizione dei produttori più di 470.000 prodotto differenti, offrendo in totale un numero di prodotti 900 volte superiore a quello di un qualsiasi rivenditore francese tradizionale nello stesso ambito. Sempre nella prima parte del decreto si legge che “l’industria tessileedell’abbigliamento è responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di gas serra, più di tutti i voli e i trasporti internazionali messi insieme”. Inoltre, si legge che “il cotone è la prima coltura in termini di consumo di pesticidi, il 20% dell’inquinamento delle acque è attribuibile alla tintura e al trattamento dei tessuti e il lavaggio di abiti sintetici comporta il rilascio di microfibre di plastica”. La norma prevede infatti che gli introiti generati dalle sanzioni verranno utilizzati per gestire laraccolta, smaltimento e trattamento dei rifiuti tessilie la filiera delriciclo della moda. Il grido d’arme dei “cugini francesi” è quindi chiaro:mettere in ginocchio la vendita e l’acquisto di abiti a basso costoper contribuire a salvaguardare il nostro Pianeta.