No, i migranti non “ci rubano il lavoro”. Anzi, lo creano

No, i migranti non “ci rubano il lavoro”. Anzi, lo creano

 

Glistereotipihanno proprio le gambe corte, quando intervengono i dati. L’ho pensato ancora una volta, sfogliando ladecima edizione del rapportoImmigrazione e Imprenditoria, redatto daIdosin collaborazione conCna. Perché a fronte dellostereotipo razzistache spesso leggiamo nei confronti delle persone migranti, anche stavolta i dati ci mostrano una realtà non solo diversa, ma anche molto più interessante. Iniziamo con l’Europa: tra il 2002 e il 2022, il numero totale dilavoratori autonomi nativi è diminuito da 25,3 a 23,9 milioni.Quello degli imprenditoristranieri, invece, è quasitriplicato. Ora, stiamo parlando di un valore assoluto modesto, ma che ha comunque raggiunto quasi 1,9 milioni partendo da circa 675.000. Tra questi, i non comunitari sono prevalenti e rappresentano circa il 57% e questo è un dato sorprendente, se si pensa che su di loro gravano procedure amministrative che non si applicano ai comunitari (mentre questi ultimi beneficiano di percorsi agevolati che non sono previsti per i primi). Tra i Paesi europei nei quali iltasso di imprenditoriamigranteè più elevato, l’Italia si colloca al terzo posto, dopoGermaniaeSpagna(anche questo, chi l’avrebbe mai detto…). Aggiungendo anche laFrancia, copriamo il75% del totale dell’imprenditoria migrante in tutta l’Unione europea. Le persone migranti, quindi, lavorano come dipendenti ma anche creano impresa.E non solo non ci rubano il lavoro,ma a dire il vero,lo creano.Nel 2022, il 32% delle imprese migranti in Europa ha impiegato almeno un dipendente. In Italia, questo valore è pari al 27% circa. Imprese migrantiche sono anche imprese piùgiovani: il 70% dei lavoratori autonomi stranieri in Europa ha meno di 50 anni, contro il 58% dei nativi. In Italia, ad avere meno di 50 anni è il 76% degli imprenditori stranieri, a fronte del 55% dei nativi. E proprio per l’Italia, il contributo dell’impresa migrante è indispensabile allaproduzione di ricchezza del Paese. Partiamo da un presupposto: secondoGlobal Entrepreneurship Monitor,l’Italia si colloca all’ultimo posto tra tutti i grandi Paesi europei (e alcune economie emergenti) in quasi tutti gli aspetti dell’ecosistema imprenditoriale, con le politiche e i programmi governativi e l’educazione imprenditoriale individuati comeparticolarmente carenti. Il tasso di imprenditoria è bassissimo. In questa cornice, secondo i dati deiRegistri delle imprese elaborati daInfocamere, le aziende straniere sono ilvero motore della crescita imprenditorialedel Paese. Nel periodo compreso tra il 2011 e il 2022, mentre le aziende gestite da persone italiane si sono ridotte del 5%, quelle guida da persone migranti sono aumentate del 43%. Ese nel 2011 le imprese migranti rappresentavano il 7% del totale, nel 2022 sono arrivate a costituirne l’11%. Sotto il profilo settoriale, c’è da dire che la maggior parte dell’imprenditoria migrante si concentra neiservizi, con una netta predominanza delcommercio(32% del totale) e dell’edilizia(24%). Nel nostro Paese,l’82% dei titolari di imprese migranti è di origine non comunitaria.Rompiamo un altro stereotipo:le imprese a titolarità marocchina sono più di quelle a titolarità cinese(rispettivamente, 63.000 contro 52.000). E sebbene oggi si concentrino soprattutto in settori tradizionali e a basso valore aggiunto, è in costante aumento la quota di imprese migranti in settoriinnovativi, in particolar modo quando a guidarle sono persone piùgiovani. Ah, un’ultima cosa: se sul totale delle imprese italiane quelle femminili sono il 22%, sul totale delle imprese migranti la componente femminile sale al 25%. Mi chiedo per quanto ancora vogliamo portare avanti una certanarrazione magari funzionale ad alimentare le paure, ma totalmente scollegata dai fatti.