Quel Processo per stupro che sconvolse l’Italia. E che andrebbe rivisto oggi
Nel 1979 l’umanità aveva già saltellato sulla Luna da un decennio, da 9 anni in Italia si poteva divorziare ed era da poco entrata in vigore la legge 194 sul diritto all’aborto. Eppure, le immagini che la Rai mandò in onda il 26 aprile in seconda serata e che furono seguite da 3 milioni di spettatori (saliti a 9 milioni nella replica di ottobre in prime time) aprirono gli occhi della società civile sullamentalità sessista, maschilista e patriarcale che aleggiava ancora nelle aule dei tribunali.E che riecheggia anche nei dibattimenti di oggi, vedi le 1.400 domande per 22 ore di udienza a cui è stata sottoposta Silvia, la studentessa italo-norvegese del processo contro Ciro Grillo e il suo gruppo di amici (il 7 e 8 marzo ci saranno le consulenze tecniche di parte civile). Il documentario, girato da sei giovani filmaker e registe nel 1978, si intitolavaProcesso per stupro. Per la prima volta le telecamere riprendevano un dibattimento giudiziario per violenza sessualeai danni di una 18enne di Latina, difesa dall’avvocata femminista Tina Lagostena Bassi che aveva già assistito Donatella Colasanti contro gli assassini del Circeo. La ragazza, di nome Fiorella (il cognome venne sempre omesso anche se appariva a volto scoperto nei filmati), era stata attirata in una villa di Nettuno con la scusa di un lavoro da segretaria e abusata da 4 uomini, cheprima confessarono e in seguito ritrattarono dicendo che la giovane fosse consenzientein cambio di 200.000 lire, mai date perché i rapporti furono “insoddisfacenti”. Il processo arrivò dritto alla pancia del Paese, che assistì increduloal passaggio di Fiorella da vittima ad accusata, al clima di complicità e connivenza maschile tra avvocati, imputati e giudici, alla condanna morale della ragazza screditata e fatta passare per adescatrice. Obbligata anche a ripercorre con dovizia di particolari morbosi i momenti degli stupri, Fiorella rifiutò l’offerta di risarcimento di 2 milioni di lire, nonostante fosse una lavoratrice precaria e di estrazione non certo borghese,in cambio di una sola simbolica lira da devolvere ai centri antiviolenza. Il documentario di Maria Grazia Belmonti, Anna Carini, Rony Daopulo, Paola De Martis, Annabella Miscuglio e Loredana Rotondo vinse il Gran Prix Italia e una copia è conservata negli archivi del Museum of Modern Art di New York. Fuil primo format di processo televisivoe contribuì alla richiesta diuna nuova leggeche andasse oltre il Codice Rocco, che definiva la violenza sessuale comeun reato contro la morale e non contro la persona. Legge che arriverà, però, solo nel 1996 (15 febbraio 1996, n.66). «Per noi fu una sfida professionale ma anche militanza femminista», ha ricordato Loredana Rotondo in unarecente intervistasul caso delprocesso in corso contro Ciro Grillo. «La tecnica degli avvocati e del giudice era quella di demolire Fiorella, di fare a pezzi la sua vita per dimostrare chese durante uno stupro non reagisci e ti fai ammazzare, vuol dire che sei consenziente. Non so perché la Rai non lo ripropone oggi: bisognerebbe farlo vedere nelle scuole, nelle università, nelle aule di Giurisprudenza». SuRaiPlayè disponibile l’arringa, appassionata e modernissima, dell’avvocata Tina Lagostena Bassi,in cui con fierezza dichiarava che «la vera imputata è la donna. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare venire qui a dire“non è una puttana”. Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella.Io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza». Processo per stupro: l’arringa di Lagostena Bassi – RaiPlay Il primo processo ripreso dal vivo dalle telecamere Rai con la difesa di una giovane vittima di stupro E ancora, sul risarcimento «buttato sul tavolo come una mazzetta» e rifiutato «perché noi donne riteniamo cheuna violenza carnale sia incommensurabile.Questa ragazza così venale, che andava con uomini per soldi, vero?, e sulla quale voi butterete fango, butterete fango a piene mani, bene, questa ragazza così venale vuole una lira e vuole la somma ritenuta di giustizia devoluta al Centro contro la violenza sulle donne, perchéqueste violenze siano sempre meno, perchéle donne che hanno il coraggio di rivolgersi alla giustizia siano sempre di più». E sulla condanna: «Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, noi vogliamo che in questa aulaci sia resa giustizia. Chiediamo che anche nelle aule dei tribunali si modifichi quella che è la concezione socio-culturale del nostro Paese,si cominci a dare atto che la donna non è un oggetto». L’arringa di Lagostena Bassi, figura di spicco della lotta per i diritti delle donne in Italia, rimane memorabile anche in rapporto alle sconcertanti parole degli avocati della difesa, che ancora a fine anni Settanta pronunciavano frasi così: «Che cosa avete voluto? La parità dei diritti. Avete cominciato a scimmiottare l’uomo.Voi portavate la veste, perchéavete voluto mettere i pantaloni?Vi siete messe voi in questa situazione e allora ognuno purtroppo raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza fosse stata a casa,se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente». E persino: «La violenza c’è sempre stata. Non la subiamo noi uomini? Non la subiamo noi anche da parte delle nostre mogli?E come non le subiamo? Io oggi per andare fuori ho dovuto portare due testi con me! Testimoni che andavo a pranzo con loro, sennò non uscivo di casa. Non è una violenza questa? Eppure mia moglie mica mi mena». Tre dei quattro imputati furono condannati a un anno e otto mesi di reclusione, uno di loro a due anni e quattro mesi.Tutti però beneficiarono della libertà condizionalee non videro mai la galera.