Come la rimozione influenza le tue scelte

 

Il giornaleRest of the Worldha distribuitorilevatori di inquinamentoad alcuni raider di Lahore, New Delhi e Dhaka. I risultati sono impressionanti perchémostrano concentrazioni di gas e particelle nocive a livelli terribili. Certo, le interviste con i raider sono ancora più impressionanti: quelle persone che stanno tutto il giorno in giro per strada per realizzare i nuovi servizi di logistica che l’ecommerceha reso necessari manifestano sintomi pesanti, stanchezza e tosse persistente, nausea e infezioni agli occhi. E anche peggio. Le rilevazioni “fai-da-te” sull’inquinamento non mancano e vanno prese con il giusto senso critico, come ha scritto anche Giacomo TalignanisuLa Svoltaa proposito dellerecenti analisi riguardanti Milano. Ma sta di fatto chedecine di milioni di persone continuano a vivere in città fortemente inquinate. Perché? Fondamentalmente, si può dire chesono costrette a farlo. I loro legami sociali, le opportunità economiche che hanno trovato, la casa e le esigenze collegate alla famiglia, si rivelano più importanti nelle loro scelte di quanto non sia unarazionale valutazione della qualità dell’ambiente nelle loro città, ovviamente.Spesso non sono abbastanza informate. I particolati, il benzene, la formaldeide e tutti gli altri agenti cancerogeni che i loro polmoni non cessano di assorbire,non fanno rumore. Ma c’è di più. Oltre a non voler cambiare città, spesso non possono farlo perchénon vedono le alternative. Sono più brave a sopravvivere e tirare avanti piuttosto che aprogettare una trasformazione della loro vita. In questo, le appoggia una forte funzionalità psicologica che – generalizzando un concetto di origine freudiana – spinge allarimozione. Piuttosto che soffrire, affrontare una difficoltà, immaginare una soluzione,tendono a dimenticare il problema. In questo contesto,hanno bisogno di forme d’aiuto immediate. Sentono vicini i politici che offrono loro qualchegratificazione di brevissimo termine. Sentono lontani i leader che propongono soluzioni orientate al futuro. Preferiscono per esempio sentirsi difesi come tribù piuttosto che contribuire all’elaborazione di strategie di cittadinanza. Eppure i problemi dell’inquinamentonon hanno molto a che fare con le identità tribali:sono decisamente più collegati alle scelte che le cittadinanze, guidate da leader lungimiranti, sapranno operare. Ma se mentre si aspetta il lungo periodo, si sopravvive rimuovendo i problemi, allora si cercano gratificazioni immediate e non si appoggia con la dovuta energia una policy davvero costruttiva. La ragione, insomma, non è al governo. E non ci si può aspettare che lo sia. Ma questo non è il finale della storia. Perché anche i lungimiranti possono imparare a entrare in contatto con cittadinanze che sono insiemeemotive, ragionevoli, strette nella loro quotidianità, orientate a considerare il futuro come un pericolo: e che invece potrebbero essere aiutate a vedere le alternative. Tra le quali c’è anche un avvenire migliore del presente, emotivamente attraente, economicamente conveniente,ecologicamente sano. I leader che riuscissero in questa impresa, ridefinendo il quadro nel quale le persone fanno progetti, potrebbero dire di avere avuto un ruolo nella storia. I capi popolo cheriescono solo a intercettare le pulsioni momentanee, invece, non fanno che aggiungere le loro pagine tragiche alle fasi più difficili dell’esperienza umana. Certo, a loro volta i leader hanno bisogno di vedere le alternative, ascoltando insieme la scienza e la voce delle persone, il che può essere davvero sfidante. E anche i potenti non possono tutto. Ma questo non toglie che chi ha più potere ha anche più responsabilità.