Il 51% degli ospedali “critici” per rischio decesso è migliorato

Nel2016, ilPiano Nazionale Esiti sul rischio di decesso post-ricovero per diverse malattie gravi e di alta frequenzaaveva permesso diidentificare le strutture sanitarie con le performance più basse. Come stanno oggi questi ospedali considerati “critici” per laqualità dei loro servizi sanitari? Sono riusciti a recuperare? A rispondere a questa domanda è l’indagine dell’Università di Bologna(che ha coinvolto anche l’Università di Ferrara) pubblicata sulla rivistaHealthcare, che ha seguito per5 annigli ospedali con i risultati peggiori per capirequanti di questi fossero riusciti a migliorare,avvicinandosi (o superando) alla media nazionale e quanti “abbiano continuato a mostrare unrischio di decesso elevato per i propri pazienti”. Il Piano Nazionale Esiti (Pne) è unsistema di valutazione della qualità dei servizi sanitariche esiste da oltre10 annied è gestito dall’Agenzia Nazionale per Servizi Sanitari Regionali. Ogni anno fornisce un report sulla qualità degliospedali italianiin cui viene calcolato “il rischio di decesso successivo al ricovero per malattie ad alto impatto”. Ci sono8 indicatoriche misurano la probabilità di morte aggiustata per il rischio di ciascun paziente 30 giorni dopo il ricovero: infarto miocardico acuto, insufficienza cardiaca congenita, ictus, malattia polmonare ostruttiva cronica, malattia renale cronica, frattura del femore o cancro al polmone e al colon. Gli ospedali dove si rilevala più alta percentuale di pazienti deceduti, a parità di altri fattori di rischio, sono considerati“critici”.È proprio su questi che si è concentrata lo studio dei ricercatori di Bologna chehanno analizzato i risultati degli interventi messi in atto in questi anni per individuare le cause delle performance negative e invertire la rotta. «I risultati del nostro studio mostrano che,dei 288 ospedali considerati “critici” nel 2016, circala metà è stata in grado di migliorare sensibilmente dopo più di 3 anni di distanza dalla comunicazione dei risultati, ovvero dopo un tempo congruo per porre in atto interventi migliorativi – ha dichiarato Lamberto Manzoli, medico epidemiologo e professore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna, che ha guidato lo studio – Può sembrare un dato negativo ma è migliore di quello rilevato in altre nazioni ed è riferito a ospedali in difficoltà, dove non è assolutamente semplice ottenere miglioramenti. Inoltre, nelle regioni del Centro-Nord il tasso di miglioramento è stato vicino al 70%, un dato molto positivo», ha detto. Nel complesso, spiega lo studio,il 51% dei 288 ospedali che avevano registrato una performance molto bassa rispetto almeno a uno degli 8 indicatori considerati ha mostrato un certo grado di miglioramento nel 2021;il 27,4% è migliorato così tanto che il rischio di morte dei propri pazienti è sceso al di sotto del valore medio nazionale. Non ci sono solo buone notizie, però.Nel 34,7% degli ospedali, infatti, i pazienti presentavano ancora un rischio medio di morte superiore del 30% rispetto al paziente italiano medio con la stessa malattia. A questo si aggiungono sensibilidisuguaglianze geograficheall’interno del Paese:solo il 38,5% degli ospedali del sud Italia ha migliorato i punteggi degli indicatori selezionati, contro il 68% del nord e centro Italia. «Certamente occorrerà concentrare gli sforzi nelle grandi regioni del Sud, dovemeno del 40% degli ospedali è riuscito a migliorare, ma credo che gli esperti del Pne ne siano già ben consapevoli – ha aggiunto Manzoli – Tuttavia,avere una stima quantitativa precisa sull’efficacia del sistema di valutazionepuò, da un lato,rassicurare i cittadini e il Ministero, e dall’altro permettere di valutare se in futuro, tramite una revisione delle strategie di miglioramento, l’impatto del sistema potrà ulteriormente crescere».