Cos’è la “zoom fatigue”?
Negli ultimi anni, complice anche la pandemia di coronavirus, abbiamo assistito a un cambiamento sostanziale nel mondo del lavoro, con l’imporsi dellosmart workinge con esso l’utilizzo delle videoconferenzecome principale veicolo di comunicazione. Se lavorare da casa viene spesso considerato unvalore aggiunto, che consente diequilibrare lavoro e vita privata,chi lavora principalmente da remoto sperimenta spesso unafatica mentalequasi maggiore di chi si reca quotidianamente in ufficio. Si tratta dellavideoconference fatigue(Vcf), informalmente chiamatazoom fatigue,definitadagli esperti come la “spossatezza somatica e cognitiva causata dall’utilizzo intensivo o inappropriato di strumenti di videoconferenza”. Naturalmente, la possibilità di comunicare attraverso videochiamate esiste già da molti anni, ma il problema è emerso solo recentemente, quando in seguito all’aumento vertiginoso del loro utilizzo(si pensi che tra dicembre 2019 e marzo 2023 le visite mensili al solo sito diZoomsonopassateda 71 a 943 milioni, un incremento di oltre il 1.000%) sempre più persone hanno iniziato a riportaresegnali di stanchezza e irritabilitàalla fine della giornata lavorativa, sintomi che non riscontravano quando il lavoro era svolto esclusivamente in presenza. Fino a qualche tempo fa, l’esistenza della Vcf era considerato solo unfatto soggettivo, ma a novembre dell’anno scorso unteam di scienziati austriaciha condotto unesperimentochene haprovato scientificamente l’esistenza. Il dottorGernot Müller-Putz, capo dell’Istituto di ingegneria neuraledell’TU Gratz, ha studiato l’attività cerebrale e cardiaca di 35 studentidurante2 lezioni da 50 minuti, una online e una in presenzaper rilevare sintomi fisici e neurologici di fatica e stanchezza. I dati raccolti sono stati poi integrati con quelli emersi tramitequestionari di autovalutazionecompilati dai soggetti esaminati riguardo il loro umore e il loro livello di stanchezza. Conformemente a quanto riportato da altri utilizzatori di piattaforme di videoconferenze, anche gli studenti esaminatihanno affermato di sentirsi più stanchi, affaticati, prosciugati, stufi e anche meno felicie attividopo aver seguito la lezione in videoconferenza, rilevando un generale tono dell’umore molto più basso di quello dopo la lezione in presenza. Il dato interessante della ricerca in questione è chei dati soggettivi sono perfettamente supportati da quelli fisiologici e fisici. Gli studenti, infatti, durante le 2 lezioni sono stati monitorati attraversoencefalogrammaeelettrocardiogrammae sia i dati dell’attività cerebrale sia quelli dell’attività cardiaca hanno mostrato una situazione di grandeaffaticamentonel caso della videoconferenza. SecondoMüller-Putzsono principalmente 4 imotivi che portano il cervello a dover lavorare di piùquando siamo in videoconferenza rispetto a quando siamo dal vivo. Il primo elemento da biasimare è lamancanza di sincronicità nella comunicazione. I segnali comunicativi (parole, gesti, espressioni) attraverso il mezzo digitale arrivano sempre in ritardo. Talvolta questi ritardi sono piccoli, quasi impercettibili, ma vengono colti dal cervello che deve dunque spendere più energie per dare senso alle informazioni che riceve. La seconda ragione è laquasitotale mancanza dei segnali non verbali. Quando siamo in una videoconferenza generalmente vediamo solo una parte del corpo dell’interlocutore (di solito il viso) perdendo così tutti isegnali comunicativiche vengono, per esempio, dal movimento delle mani, dalla postura o dal modo di stare seduti. Anche lesfumature dell’espressione faccialesi perdono, filtrate dal mezzo telematico. L’insieme di questi fattori rendepiù difficile cogliere eventuali cambiamenti emotivi o di umoredi chi abbiamo davanti, impedendoci di adattare efficacemente la nostra comunicazione, come invece succederebbe di persona. Questo rende la comunicazione più difficile e, talvolta, frustrante. Il terzo punto di attenzione è l’impossibilità di stabilire il contatto visivo, un importanteelemento di coordinamentonella comunicazione. Attraverso lo sguardo otteniamo approvazione o disapprovazione e riusciamo a comprendere le emozioni di chi ci sta davanti rispetto a ciò che stiamo dicendo. Quando questo manca,il cervello deve supplirecercandoaltre fonti di informazione, aumentando così il livello di fatica. Non da ultimo, il team di ricerca ha evidenziato chele videoconferenze ingigantiscono la percezione che abbiamo di noi stessi. Dal momento che in nessun’altra situazione comunicativa (a meno che la persona con cui stiamo parlando non abbia alle spalle uno specchio) possiamo vederci, secondo Müller-Putz, nelle videoconferenzeprestiamo molta più attenzione al nostro aspetto e all’ambiente che ci circonda. «Avrò messo la maglietta giusta? Come mi vedono gli altri? Cos’ho sullo sfondo? Ci sono un sacco di foto dei miei figli, forse dovrei toglierle prima dell’incontro con il capo. Tutti questi pensieri passano in sequenza, uno dopo l’altro, talvolta accavallandosi. Qualcosa che non succede quando siamo seduti a un tavolo, faccia a faccia»,spiegaMüller-Putz. Come possiamo fare, dunque, peralleviare la fatica mentale delle videoconferenze, quando ormai sono diventate una costante nella nostra routine lavorativa? I ricercatori sostengono che sia necessario farepause molto frequenti, per riposare il cervello, ecercare di far durare le chiamate il minimo necessario, mai più di 45 minuti. Inoltre, dal momento che la Vcf è un problema molto serio e può aumentare la probabilità didepressioneeburnout, è bene prendere coscienza del problema e fare in modo che i datori di lavoro riconoscano che le videoconferenze sono uno strumento utile e possono facilitare il lavoro main nessun caso dovrebbero sostituire l’interazione di persona.